Soltanto tre lupi nella notte

È notte. Il caldo sembra non concedere tregua. Nemmeno la polvere. Caldo e polvere si appiccicano ai corpi. La pelle suda polvere, come se fosse impastata di terra. Mulinelli di tafani e zanzare fluttuano ossessivi nell’aria immobile e infernale. Caldo e polvere continuano a dominare, senza tregua, questa notte statica.

Tre lupi ululano su un monte. Danno voce al disprezzo per questa terra dura e dimenticata. Una terra desolata dove i raggi del sole tracciano linee di confine tra la vita e la morte, tra ciò che fluisce e ciò che ristagna fino a svanire.

Tre lupi ululano nella notte. Caldo e polvere stringono nella stessa morsa il giorno e l’oscurità. Serpenti a sonagli si contorcono sulla ghiaia arroventata dei sentieri sbiaditi. Le bestie cercano rifugio dove possono, tra le gole rocciose, tra le insenature del canyon, per sfuggire al calore del sole che persiste anche nel buio. In lontananza, il fiume e il suo placido muggito benefico e vitale.
E ancora il caldo, il maledetto caldo, che sottomette e ghermisce ogni cosa, che non concede tregua, non fa prigionieri. E nemmeno li libera. Perché soltanto il vento dell’Ovest potrebbe farlo. Quel vento che ormai ha dimenticato di soffiare.

Laggiù, nell’oscurità, qualcosa si muove. Non ha nome, né volto. Non è bestia e non è uomo. È un’ombra che striscia, come se la terra stessa avesse imparato a muoversi. Le rocce scricchiolano al suo passaggio, le lucertole si immobilizzano, le cavallette si gettano nel vuoto pur di non sentirla addosso. Non è fame. Non è sete. È una presenza, come il caldo, come la polvere, come l’assenza del vento. Un manto invisibile che avanza.

Qualcuno dice che venga da Est, dalle rovine di una città che non esiste più. Altri lo chiamano “il Respiro Secco”, ma nessuno osa nominarlo due volte. I pastori hanno imparato a riconoscerne l’arrivo dal silenzio improvviso delle bestie. Gli uomini più vecchi lo annusano nell’aria e si chiudono in casa, sprangando le porte con assi marcite. Nessuno guarda fuori. Nessuno chiama. Il caldo si ferma a osservarlo, come se anche lui avesse paura.

Poi accadde. All’inizio fu solo un tremolio. Una vibrazione impercettibile nella sabbia, come il respiro trattenuto troppo a lungo. Le foglie secche si sollevarono appena, incerte. I tafani si dispersero in un moto disordinato, le zanzare si fecero invisibili. Le rocce parvero scricchiolare di nuovo, ma stavolta non per l’ombra che striscia.


Fu allora che arrivò il vento. Lento, denso, sporco. Non un sollievo. Non una brezza. Ma un lamento. Un’onda antica, dimenticata, che non accarezza ma scava. Che non rinfresca ma spoglia.
Il vento dell’Ovest era tornato. Ma non per grazia. Era tornato come giudizio.
Le cime si piegarono, gli arbusti si spezzarono come ossa secche. La sabbia si levò in miriadi di aghi, conficcandosi ovunque. I serpenti si rifugiarono tra le crepe, le bestie corsero alla cieca, sbattendo contro le pareti dei canyon. Il cielo si tinse di rame e poi di cenere.


Il fiume stesso si abbassò, come in segno di rispetto o paura. Il calore si ritirò per un istante, lasciando solo l’eco del vento a strisciare tra le pieghe della notte. All’alba, tutto taceva. Nessun ululato, nessun ronzio. Solo polvere. La sabbia si era posata di nuovo, come se non fosse mai stata sollevata. Le rocce erano le stesse, ma il canyon sembrava più profondo, come se avesse trattenuto qualcosa.
Non c’erano tracce del vento, né dell’ombra che striscia. Solo il sole, che tornava a segnare le sue linee di demarcazione sulla terra. Ma da qualche parte, lontano, tre lupi ululavano ancora. Non erano stati visti. Non erano stati sentiti fino ad allora. Ululavano non per avvertire, né per spaventare, ma perché era l’unica voce rimasta a ricordare la notte.

Soltanto tre lupi nella notte, a custodire il silenzio e a vegliare sull’attesa. Eppure qualcosa era cambiato. Il silenzio aveva un suono diverso, come un battito sepolto, lontano.
Forse era solo il cuore della terra. Forse era il ricordo del vento.
O forse era l’attesa di un altro respiro

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