Marano Street Blues (Un racconto jazz)
Marano Street Blues
È mezzanotte. Sabato sera e sono da solo ad ascoltare
The Gerry Mulligan Quartet mentre sorseggio un bicchiere di
cognac Martell. Cerco di darmi un tono da scrittore colto e raffinato. Metto
una vestaglia, ma mi provoca l'orticaria e sento un forte odore di naftalina
nell’aria, che si spande e copre l'incenso al sandalo e il buon sapore del
cognac. Mi viene da smadonnare, ma per fortuna il baritono di Mulligan mi copre
bene e tutto quello che i miei vicini sentono e vedono non è altro che un
ridicolo individuo old fashion, mentre si annoia dandosi un tono.
Del resto il mestiere di scrivere è proprio questo:
osservare, provare, ascoltare. Il piano segue la sezione ritmica e io mi sono
già spogliato e cambiato, perché inizia a far freddo anche in questa tana, che
ho allestito come se fossi un orsetto lavatore pronto per il letargo. Al posto
del barattolo di miele verso tre dita di cognac e sono pronto a fare serata. Ho
voglia di pescare nel mio carnet, anche perché nel guardaroba c'è solo una
giacca di velluto a costine con le toppe, che risale al periodo in cui
frequentavo i concerti jazz qui in zona. Bei tempi, eh! Ma chi se li ricorda?
Io mi ricordo forse le canzoni. Ricordo qualche pezzo sparso, accenno di serata
e il momento migliore, quando si spengono le luci e i musicisti salgono sul
palco. Il resto è pura magia. Il jazz non è solo arte di
improvvisazione, è uno stile di vita basato sul disagio, il rancore e
l'inadempienza. Vi sembra facile, vi sembra comodo, accomodatevi voi su un
palco spoglio e senza pubblico. Fatevi tagliare voi i capelli da un rigattiere
recalcitrante, che di malavoglia esegue le vostre indicazioni. Il jazz è una
sedia di legno scomoda, che cigola nel momento del bisogno, nel momento meno
opportuno. È un disco di Cecil Taylor, che non riesci a trovare la sera
in cui finalmente hai deciso di invitare quella rossa mozzafiato. Lei
naturalmente si presenta con un vestito da schianto e l'ultimo problema di cui ti
dovresti preoccupare ora è che scopra che come cuoco non sei granché. Per il
vino hai chiesto al tuo amico fanatico e non hai badato a spese. Questo ti fa
onore, specialmente in tempi di crisi come questi, pensi tra te e te. Ti
salverà la scelta del disco, ti salverà l’Eterno Quartetto, perché si sa,
niente è più seducente e ospitale di uno strumento a fiato. Lo sanno tutti,
anche quelli che non vogliono darsi un tono da scrittore finto parigino
in una mansarda a Marano Marchesato.
Eppure stavolta ti dice bene, non è affatto una persona
antipatica, si sta rivelando una bella conversazione finora, se solo fossi meno
impacciato, meno distratto: se solo non fossi tu! Non devi bruciarti tutte le
carte ora, tieniteli per il prossimo appuntamento i racconti di Umbria Jazz, di
quando il servizio d'ordine ti stava cacciando in malo modo al concerto di Van
Morrison, di quella ragazza siciliana, conosciuta per caso alla stazione Santa
Maria Novella. Piano Train: avete parlato di passione, del fatto
che Nighthawks At The Diner di Tom Waits avesse influito sulla
vostra strana adolescenza in un buco di provincia nelle notti d’inverno,
sognando di essere protagonisti silenti di una tela di Edward Hopper,
persi nel proprio blues. Davvero buffo come si possano aprire parentesi, che
ricordano da vicino un romanzo tardivo di Calvino. Il Paese però era
ancora selvaggio, un po’ ruggente, certamente magniloquente, ma c’era ancora
quella voglia di conoscersi, di svelarsi, a poco a poco, in certi ambiti, per i
veri patiti e malati… di blues, di jazz e cantautori americani. I believe
in you. La passione musicale sboccia all’improvviso e all’improvviso ti
ritrovi invischiato in un altro stile di vita, manco fosse la New York
cantata nei poemi beat. Certo, se poi ascolti Tom Waits, la confusione e
l’equivoco potrebbe crearsi. Ma che male c’è? On A Foggy Night!
Sembra passato un secolo, ma in effetti è da un po' che non
ascoltavi Gerry Mulligan e vedi che bello: l'atmosfera, il cognac e un
incenso al sandalo possono scaldare questa tana da orsetto lavatore, che
vuole darsi un tono da viveur poeta maledetto e appassionato di jazz.
Che poi qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi perché tutti questi luoghi comuni
sul jazz, sulle ragazze rosse dai capelli ricci, con le borse di cuoio vintage?
Perché io onestamente non l'ho mai capito. Ma tanto ormai sembra di vivere in
un film di Paolo Sorrentino venuto male. Eppure basterebbe un po' di
immaginazione, per ritornare a quell'istante in cui ti sei avvicinato alla
musica di John Coltrane, Duke Ellington e Charles
Mingus. Ed eri ancora un metallaro che andava in giro col giubbotto nero di
pelle, il codino e un paio di stivali alla Clint Eastwood. Il jazz però,
nonostante quest’aura mitica, è musica schiva, raramente ospitale.
I know, Don't Know How, vero Mr. Mulligan?
Due note e il ritornello era già nella pelle di quei
due. Il corpo di lei mandava vampate africane, lui sembrava un coccodrillo. I
sax spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga. E la canzone andava
avanti sempre più affondata nell'aria. (Paolo Conte)
Dario “Orsacchiotto” Greco
Illustrazione di Luca Merli
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