Dieci pillole springsteeniane - Prima Parte

 

Dieci pillole springsteeniane - Prima parte 


Pillola #1 - Intro - ( The Promised Land, 1978)

Quali sono gli aspetti fondamentali che rendono le canzoni di Bruce Springsteen uniche e di valore, rispetto a quelle di illustri e incensati colleghi?

Tutto il suo lavoro è frutto di una tensione tra indipendenza e appartenenza. La lingua profana del rock è un linguaggio declinato all'affrancamento del conformismo, almeno nelle sue intenzioni più alte. L'emancipazione dalla famiglia, la ribellione sono tematiche ricorrenti, fin dagli albori del genere musicale di appartenenza. C'è una ferma volontà di riscatto per tutti quelli che si sono sentiti esclusi almeno una volta nella vita. Springsteen ha sempre dichiarato di inseguire la fusione con gli altri, la comunione. Se c'è un elemento ricorrente in oltre 45 anni di carriera questo è proprio il senso collettivo di comunità del rock. Non quella delle band da alta classifica, a cui Springsteen raramente è appartenuto.  L'aspetto univoco e sostanziale riguarda invece la capacità di interagire e fondere la propria voce con quella del suo pubblico. In Springsteen la necessità di stabilire un rapporto tra eguali con gli spettatori appare evidente, necessario. Lui e solo lui è il ragazzo con il biglietto vincente alla fabbrica del cioccolato del rock and roll, con lo sguardo sognante e l'ideale di voler condividere con il mondo intero il suo pezzetto di Gloria, la sua tanto decantata Terra Promessa. 

Link di ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=XRdNwHmUiiQ


Pillola #2 It's Hard to Be a Saint in the City (1973)   

Come in molte altre canzoni di Springsteen, l'ambientazione di It's Hard to Be a Saint in the City è quella urbana di New York, dove un ragazzo di periferia si ritroverà catapultato nella grande città. Questo gaglioffo si aggirerà con aria spavalda tra i vicoli di una città che giustamente non può ancora riconoscergli lo status di King. Ed è tutto un pretesto formale al fine di trovare un posto nel mondo dove essere accettato, sfuggendo una realtà triste e opprimente. Non c'è bisogno di recuperare il primo lp, "Greetings from Asbury Park, N.J." per ascoltare la migliore versione possibile del brano. Ritengo superiore la versione live che si ascolta sul cofanetto 1975-1985. Più nervosa, furente e agguerrita, con le chitarre e il pianoforte sugli scudi. Ed è curiosa anche la versione demo presente nel primo volume di Tracks. Tralasciando la versione glam-rock di David Bowie, che merita comunque un ascolto attento, vista anche l'importanza storica di questa cover, Saint in the City è una presa di coscienza del suo autore, il quale afferma con verismo che ogni conquista ha un costo. Tema che verrà approfondito nei lavori successivi, ma che già in questo esordio giovanile fa capire quali sono le intenzioni del suo autore. Certo non mancano la baldoria e la voglia di irrompere sulla scena, ma è importante il modo, lo stile, soprattutto è fondamentale la scrittura. Se in questo esordio alcuni episodi tradiscono ingenuità e uno stile ancora acerbo e ridondante, questo non si può dire per i due pezzi finali. Spirit in the night, ma in misura maggiore questa Saint in the City sono canzoni fatte e finite, che possono funzionare anche lontano dalla sfera intima del proprio autore. I testi che per tutto l'album erano pieni, saturi e torrenziali, qui vengono messi meglio a fuoco e il risultato è indubbiamente scoppiettante, esaltante. "I had skin like leather and the diamond-hard look of a cobra/ I was born blue and weathered but I burst just like a supernova/ I could walk like Brando right into the sun, then dance just like a Casanova." Manifesto poetico e programmatico, questo pezzo apre a un nuovo autore che saprà conquistarsi un posto d'onore nell'Olimpo del rock statunitense. Eppure già questo esordio brilla di luce propria. La supernova che possiamo ammirare nei cieli estivi e che accompagna da lungo tempo la nostra vita, facendo da colonna sonora più che da sfondo. Springsteen vince la sua prima necessaria battaglia ed è pronto per il salto di qualità. Il suo secondo lavoro sarà infatti quel capolavoro stilistico e musicale che risponde al nome suggestivo di The Wild, The Innocent and the E Street Shuffle. Una canzone su tutte? Beh, ovviamente Rosalita (Come Out Tonight). 

Link di ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=YjVh89sHDnI

Pillola #3 Meeting Across The River (1975)

In Born To Run la rabbia e il rigore di Darkness sono ancora lontani, questo è vero. Eppure nel grande addio alla giovinezza rappresentato da Born To Run c'è un brano che stona e spicca per qualità narrative eccelse. Sto parlando di Meeting Across The River. Questo brano, breve e anomalo per il suo inusuale arrangiamento dove Springsteen viene accompagnato da Randy Brecker alla tromba, Roy Bittan al pianoforte e Richard Davis (quello di Astral Weeks di Van Morrison) al contrabbasso, fa da ponte di unione tra i primi due dischi della boardwalk e le canzoni più struggenti di Darkness e The River. Sottolinea in sordina l'ingresso del suo autore nella narrazione non autobiografica, in un genere codificato ed è non a caso l'ultima canzone incisa per il disco. Il confronto con il resto dell'album mostra la distanza e il distacco. Qui troviamo non solo una scrittura diversa, ma anche uno stile sospeso, essenziale, quasi minimale nelle intenzioni. Se Jungleland è lunga, romantica e magniloquente nel suo stile di composizione ridondante, Meeting che fa da intro, è la vera conclusione di Born To Run. Born to run, che è molto più di un semplice album rock. Si tratta di un'esplosione poetica, un grido di strada che esprime al contempo frustrazione e ansia di libertà. Il fiume di Meeting Across The River simboleggia l'inchino del suo autore verso un genere "nobile" come il blues, matrice di tutta la musica a cui Springsteen attinge come modello fondamentale, a parte il folk e il country che però fino a questo punto non è ancora stato contemplato come genere di riferimento per la sua scrittura. Ed è proprio in questo punto, nella linea di confine tra il Jersey e la città che lo Springsteen autore trova la sua voce adulta. Questo brano per molti versi rappresenta la matrice, il modello zero da cui trarre lezione per tutto quello che verrà inciso in seguito. Estrapolato dal disco che lo contiene, è l'unico brano del primo periodo che potrebbe stare anche sui lavori successivi, da Nebraska e Tunnel Of Love, fino a Human Touch e The Ghost of Tom Joad. Nave scuola per un'intera generazione di autori di canzoni, non è un caso se la canzone si fregia dell'apprezzamento di un altro Maestro della canzone come Tom Waits il quale afferma che gli sarebbe piaciuto scrivere Meeting Across The River. Il cerchio si chiuderà quando Springsteen porterà al successo la sua Jersey Girl, altro spaccato verista fatto canzone.

Link d'ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=c6OAtvjSf1Y


Pillola #4 Racing in the street (1978) 

Non sono tante le canzoni capaci di raccontare una storia credibile come Racing in the street. Il suo autore, Bruce Springsteen è in stato di grazia, baciato dalla fortuna e da una ispirazione autentica, viscerale, disillusa. Era l'America che faceva i conti con se stessa, con le speranze e le promesse infrante. Cosa c'è di più realistico di una corsa in auto, nella notte, in clandestinità? Anni dopo scopriremo che l'autore di questo poderoso affresco non era affatto un corridore e non stava raccontando la sua storia. Eppure con alcune semplici, indovinate metafore, con un arrangiamento a tratti minimale, ma con una coda strumentale dove il pianoforte e l'organo sembrano rincorrersi e dare gas frizionando alla perfezione, ci immergiamo in un racconto di strada che potrebbe essere ambientato in qualsiasi posto degli Stati Uniti, ma che con estrema facilità possiamo capire anche dal punto di vista del nostro Paese. Chiunque sia stato un periferico sa bene l'importanza di avere una bella macchina truccata, dove far salire la ragazza dei propri sogni. Sono tipi schivi, insicuri, ma pronti a correre e a rischiare tutto, quelli che vengono cantati e raccontati da Bruce Springsteen in Racing in the street. Tutto il disco, Darkness on the edge of Town pare un'elegia notturna sull'ultima possibilità di redenzione, di combinare qualcosa di buono, ma anche di sbagliare e di non avere dubbi, rimpianti, rimorsi. Il rimorso di sentirsi vivi, di sentire di poter ancora fare qualcosa nella notte. Il protagonista prima conquista la sua amata, ma poi pur avendola ancora al proprio fianco, sembra averla persa, qualcosa nei suoi occhi è cambiato, probabilmente per sempre. Le parole non dette, che condizionano i nostri rapporti, da adulti. Springsteen è ancora giovane, ma si percepisce che qualcosa è andato storto, il suo viaggio verso la celebrità ha avuto una brusca battuta d'arresto dopo Born to Run e anche il suo stile compositivo ne risente, contaminando il romanticismo delle sue opere passate, con la disperazione e il vuoto di ciò che sarebbe arrivato da lì a breve (Nebraska). La musica ci accompagna in un questo trip dove a sostenere il viaggio sono principalmente una ritmica accennata, la chitarra elettrica e il pianoforte. Probabilmente la migliore ballata di tutti i tempi, per un disco memorabile che ha lasciato il segno e che gira ancora bene, nonostante i suoi 43 anni. 

Link di ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=yYf3mCEVAnU

Pillola #5 The River (1980) 

La canzone più struggente di tutti i tempi. Musicalmente delicata e sublime, appassionata per la tematica, cantata con una intensità che raramente abbiamo potuto ascoltare nella popular music. A distanza di 40 anni (42 il prossimo ottobre, sigh!) trasuda ancora sangue, nervi, fluidi e flussi vitali. Una ballata che sa di acqua, ma anche di sudore, lacrime e rinuncia triste. Bruce Springsteen al suo vertice come compositore ed esecutore, coadiuvato in cabina di regia dall'amico di sempre, Steve Van Zandt. Non è un caso se all'epoca Springsteen fosse ritenuto il migliore autore della sua generazione.

Spaccato verista narrato in prima persona e ispirato alle vicende della sorella e del cognato, il brano a tratti ricalca lo schema vincente di Racing in the street (altro capolavoro springsteeniano) e a distanza di tanti anni ci rammenda come cantare, suonare, ma soprattutto come si possa scrivere una grande, grandissima canzone. Una lezione americana che risuona e riecheggia, tra la poesia di Whitman e il suono dell'heartland rock.

Link di ascolto: https://youtu.be/y7BUXRsTbvI 


Dario Greco, The Wild, The Innocent and The Saint

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