Guida all'ascolto di Van Morrison - Pt. 2

 

Moondance (Capitolo Due) 

Così come Astral Weeks era stato scritto e realizzato come un album senza compromessi di sorta, il terzo disco di Van Morrison verrà assemblato in modo speculare, diametralmente opposto. In Astral Weeks (salvo rari casi) i brani superano ampiamente i cinque minuti, sfiorando nel caso di Madame George addirittura dieci minuti.

Moondance parte con un'altra marcia e con un registro decisamente meno impegnativo. And It Stoned Me, è un brano che parla di estasi nell'atto di osservare i miracoli della natura. Una descrizione di ambienti rurali dove il centro tematico è rappresentato da questo ruscello la cui acqua avrà degli effetti benefici sul protagonista. Morrison ha detto di essersi basato su un'esperienza quasi mistica che ha avuto quando dodicenne pescava nel villaggio di Comber a Ballystockart, dove una volta chiese dell'acqua a un vecchio che disse di averla recuperata da un ruscello.

In terza posizione spicca Crazy Love, ode all’amore e al suo nume tutelare, Ray Charles, che in poco più di due minuti e 30, arriva dritta al cuore dell’ascoltatore. Il lato B parte invece con quello che è, fino a questo momento, il brano più breve del canzoniere morrisoniano. Si tratta di Come Running. Perfino Into the Mystic, una delle canzoni più belle della raccolta non supera i tre minuti e 25 secondi, nonostante nell’ascolto è facile perdersi tra le docili acque del Mystic River. Il brano più lungo è Brand New Day, coi suoi cinque minuti, mentre la title track e Caravan (altro pezzo da novanta dell’album) hanno bisogno di oltre quattro minuti e mezzo per prendere quota e spiccare il volo. 

Caravan sarà per lungo tempo uno dei cavalli di battaglia del Morrison live. Ricordiamo almeno due versioni memorabili come quella presente sul doppio live It’s too late to stop now, citata nel libro di Nick Hornby 31 canzoni come canzone ideale per il proprio funerale (Ahahah!) e come la versione immortalata nel film documentario di Martin Scorsese, The Last Waltz, con Van The Man accompagnata nientemeno che da The Band. Storia del rock senza se e senza ma. Si potrebbe citare qualunque film romantico invece, per descrivere l’atmosfera e il pathos di questo brano anomalo, ma fortunato come Moondance. Riportata in auge grazie alla versione un po’ patinata di Michael Bublé (che duetterà in seguito con Van Morrison nel brano Real Real Gone, presente su Duets: Re-working the Catalogue, del 2015), si tratta di un brano in apparenza sofisticato, dove spicca l’originalità dell’arrangiamento e l’utilizzo della strumentazione in stile orchestrale, che farà la fortuna di Van Morrison nel corso degli anni seguenti. 

I critici parlano di stile musicale eclettico e dinamico, ma c’è da dire che nel 1970 non era così frequente realizzare canzoni di questo tipo in ambito pop-rock. Se c’è un elemento originale che sarà fondamentale per la carriera del suo autore, possiamo senza dubbio rintracciarlo qui. Moondance è una ballata romantica, supportata da una sezione ritmica vivace e da una band concentrata, quanto eclettica. La forza del disco è da rintracciarsi invece nel cambio di passo tra un brano e l’altro. Ci sono infatti elementi folk, jazz, r’n’b e cantautoriali, tutti sapientemente miscelati e serviti all’orecchio attento dell’ascoltatore. L’inizio già memorabile per via dei brani And It Stoned Me, Moondance, Crazy Love, Caravan e Into the Mystic, farà dire alla rivista Rolling Stone che siamo davanti al miglior lato A della storia della musica rock. Non è facile valutare se tale affermazione sia corretta o meno, di certo nel corso degli anni sarà proprio la prima facciata del disco a determinare il successo di questo terzo lavoro in studio. 

Da un punto di vista compositivo ci troviamo a qualcosa di molto diverso rispetto al precedente Astral Weeks, mentre ci sarà poi continuità con i successivi dischi, da His Band and the Street Choir in avanti.

Eppure anche a distanza di oltre 50 anni quello swing stile Sinatra e quello stomp da marcia di New Orleans in versione moderna, rende un disco come Moondance ancora vivo, agile, capace di resistere all’usura del tempo. 

Celebrato, amato, ricordato, il disco gode infatti ancora oggi di un’ottima reputazione, sia a livello critico, sia tra il pubblico, ma cosa più importante tra i colleghi e gli addetti ai lavori. Ed era esattamente ciò che Morrison e i suoi musicisti stavano cercando di raggiungere e di ottenere: un album monumentale. 

Il 22 ottobre del 2013, è stata pubblicata la versione deluxe del disco, composta da quattro dischi, con il lavoro originale rimasterizzato e un numero incredibile di outtakes, provini e brani inediti. Sicuramente da recuperare per conoscere nei dettagli il lavoro e il modus operandi di Van Morrison. 

Dovendo consigliare un disco di Van Morrison a chi non l’ha mai ascoltato, probabilmente suggerirei di iniziare da Moondance, a cui si potrebbero aggiungere per completezza Avalon Sunset e The Healing Game. Un album per ogni decennio, un album per ogni periodo per comprendere l’evoluzione di un musicista superbo e senza eguali.

Il prossimo appuntamento è con Tupelo Honey (1971), quinto lavoro in studio per Van Morrison.


DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

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