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Visualizzazione dei post da novembre, 2025

Richard Price e l’epica suburbana di The Wanderers

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Rileggere un grande romanzo americano attraverso lo sguardo cinematografico Quando The Wanderers apparve nel 1974, Richard Price aveva appena vent’anni. Era un ragazzo del Bronx che stava imparando a scrivere, osservando il mondo come si impara un dialetto: frequentandolo ogni giorno. Quel mondo era fatto di strade, palazzi popolari, bande adolescenziali, violenza casuale, rituali di quartiere, famiglia, scuola, e una geografia emotiva che gli adolescenti di Price sapevano leggere con la precisione di cartografi. Il romanzo, oggi considerato un classico minore ma imprescindibile della narrativa americana del secondo Novecento, è molto più di un libro sulle gang giovanili: è un documento sociologico vivente, un pezzo di antropologia popolare, una capsula di memoria incandescente che racconta l’America pre-Beatles, pre-Vietnam, pre-sogno infranto. Come molti testi usciti in quel decennio, il suo respiro letterario è profondamente cinematografico. È impossibile non leggerlo e pensare, ...

Cork, Dublino, New York, Jersey Shore, California ('75)

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  1. Cork, autunno 1975 L’autunno arriva a Cork come un soffio caldo impigliato nella lana dei maglioni, un respiro che sa di torba e mare, e io ci sguazzo dentro come se fosse l’unica stagione che mi somiglia davvero. Le foglie sembrano riflettere la voce di Van Morrison, verde scuro e irlandese come un’eco di qualcosa che non ho vissuto ma che riconosco. Veedon Fleece esce dagli altoparlanti del piccolo negozio di dischi su Winthrop Street, e ogni vibrazione dello strumento di Van mi sfiora come una stoffa preziosa, ruvida sulle braccia, morbida nella memoria. Il disco gira lento, ipnotico, e io mi ci perdo, immaginando di poter dissolvermi nel paesaggio che evoca: colline morbide, cavalli bianchi, un fiume che scorre come una frase non detta. Sono giorni strani, quelli dell’autunno del ’75: il vento porta via l’odore delle piogge recenti, e noi siamo giovani abbastanza da credere che la musica possa salvarci. Forse lo faceva davvero, ma non sapevamo ancora riconoscerlo. Nel n...

California Dreamin' Seventy-Sixth

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California, '76 La nebbia saliva dalla baia come il fumo di una sigaretta dimenticata in un posacenere di Sausalito, anno 1976, quando Van Morrison stava ancora a Tiburon a scrivere canzoni che sembravano lettere mai spedite a Dio, e Neil Young era su a Laurel Canyon con la sua camicia a quadri strappata, a far piangere una Les Paul come se la collina stessa avesse il cuore rotto. Io ero in una stanza sopra un jazz club morto sulla Vine, Hollywood, moquette impregnata di bourbon e di sogni che avevano smesso di camminare da quando Crosby e Stills avevano litigato per l’ultima volta. La radio a transistor era l’unica luce possibile assieme a un antico candelabro che aveva visto certamente giorni migliori, proprio come Chet Baker che provava a cantare con la bocca piena di sangue, di note e di eroina giù a Venice. Scrissi: Ci sei, man? Arrivò subito, come se fosse seduto sul tetto di una casa di legno a Laurel Canyon con Gregory Corso e Ferlinghetti, a rollarsi una canna guardando la...

Neil Young: sogno elettrico di un’anima inquieta. MONOGRAFIA.

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Una monografia su Neil Young ispirata alla sua autobiografia Il sogno di un hippie e ai ricordi di un’estate del 2017. Un racconto personale, poetico e musicale su un artista che a ottant’anni resta un ribelle senza fine. Ci sono artisti che seguono il tempo, e altri che lo attraversano come se non esistesse. Neil Young appartiene da sempre alla seconda categoria: un viandante del suono, un cercatore di verità che non si lascia mai addomesticare. Nella sua autobiografia Il sogno di un hippie scrive: “Non ho mai voluto una carriera, ho sempre cercato un viaggio.” Una frase che basta da sola a spiegare la traiettoria di un artista che ha preferito la deriva alla sicurezza, la sperimentazione alla fama, l’urgenza alla misura. Leggere Il sogno di un hippie non è come leggere un libro di memorie: è come ascoltare un disco di Neil Young. Si sentono i silenzi, gli scatti di rabbia, i cambi di tono, gli accordi sbilenchi e le confessioni sincere. Adesso che l’ho quasi terminato, posso dire ...

La lunga estate di Neil Young

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Adesso ho quasi finito di leggere l'autobiografia di Neil Young. Ne esco emotivamente e spiritualmente arricchito. Senza troppi paragoni, era da tempo, che non leggevo qualcosa di così vero, sincero e appassionato. Tratto da una pagina del mio diario,  23 luglio 2017 Aspettammo che il sole scendesse, prima di uscire di casa. Il caldo durante quell'estate era quasi insopportabile, di giorno, ma anche alla sera. Era un po' come stesse per arrivare la fine del mondo, o meglio l'inizio della fine. Però c'era una radio che se ne fregava e suonava molto forte un pezzo rock. È come sostiene anche Bob Dylan: c'è solo un artista che suona così forte, quando alzi al massimo il volume dello stereo e dell'emotività. Uno di quelli che sembrano fregarsene, del tempo, degli anni che se ne vanno senza salutare, senza lasciare traccia, almeno apparente. C'è una chitarra indomita e c'è una recalcitrante sezione ritmica che tira dritta, stanotte, in questo momento. B...