Paranoid a Licata

Ovvero: come persi l’udito e trovai me stesso grazie ai Black Sabbath

C’è un’età in cui un uomo comincia a rivalutare tutto. Le scelte, gli amori, i dischi. Per me è stato a 50 anni. Età balorda. Hai già cambiato shampoo tre volte per nascondere i capelli bianchi e l’unica cosa che ti cresce davvero è il colesterolo. Eppure… una sera, succede. Mi chiamo Giacomo Spadaro, vivo a Licata, e sono un ex-batterista fallito con la schiena a forma di punto interrogativo e una collezione di vinili che vale più della mia Panda del ’98. Quella notte, dopo l’ennesima cena a base di peperonata e rimpianti, ho deciso di rimettere su il primo disco dei Black Sabbath. Non in streaming, no. Proprio il vinile. La prima edizione italiana del 1970, quella che quando giri la copertina ti sembra di sentire l’odore di moquette, sudore e Satana. Il giradischi gracchiò. Poi, l’inizio: pioggia, tuoni, e quelle tre note che sembrano suonate da un Dio ubriaco col mal di denti. Il pezzo era “War Pigs”. Quella con la chitarra che pare il campanello dell’inferno. E lì, giuro su Tony Iommi, il tempo si è fermato.

Mi sono svegliato in una stanza che non era la mia. Avevo 14 anni, indossavo una maglietta smanicata con scritto “Saxon”, e stavo per premere play per la prima volta. Ma non era il 1987. Era il 1970, e fuori c’erano le 126, il Festivalbar e il PCI col 35% o qualcosa del genere. “Minchia,” ho pensato. “Sto sognando... oppure ho viaggiato nel tempo?” Non c’era tempo per domande. Stava per partire “Iron Man”, quella  che a me sembra scritta da uno stregone che si fa le canne in una miniera di sale. Nel sogno (o realtà?), vivevo in una Palermo alternativa dove i parrucchieri ti offrivano fumo e i preti ti benedicevano col segno del corno. Camminando, sentivo in lontananza “N.I.B.”, e giuro che Lucifer mi ha fatto l’occhiolino passando in vespa. Poi sono entrato in un bar. Si chiamava “Planet Caravan”, e sembrava fluttuare. Dentro c’era Ozzy Osbourne che sorseggiava chinotto e mi disse: — Giacomino, la senti ‘sta musica? Ti entra nella milza e non ti lascia più. “War Pigs” stava per partire e io avevo la pelle d’oca come un tacchino la Vigilia. Mi svegliai nel mio letto, col disco finito e una goccia di sudore che mi colava dalla tempia al doppio mento. Erano le 3:07 del mattino. Nel giradischi, la puntina girava a vuoto. Eppure… non ero lo stesso. Mi alzai, presi una birra e feci partire “Hand of Doom” a tutto volume. Mia moglie mi urlò dal corridoio: — Ma sei scimunito? — No, sono libero, risposi.

Il giorno dopo, portai mio nipote Carmelo al mare. In macchina, tra due frittatine e un profumo di benzina, gli feci ascoltare “Paranoid”. Mi guardò e disse: — Ma che è ‘sta roba? — È il suono del mondo che crolla, risposi. — Meglio i Pinguini Tattici, no? Lo lasciai a piedi al bivio per Gela. Nei giorni seguenti, sprofondai. “Electric Funeral”, “Hand of Doom”, “Fairies Wear Boots”… Ogni canzone diventava un episodio della mia vita. Con “Children of the Grave” ricordai quando al liceo occupammo per tre giorni solo per non fare compito di latino. Con “Snowblind” pensai a quella volta che sniffammo zucchero a velo fingendo fosse altro. “Supernaut” mi fece piangere, senza sapere bene il perché.

Poi venne la sera in cui, in uno dei miei sogni/sovrapposizioni/visioni, mi trovai in una piazza di Modica, vestito da sposo, e “Sabbath Bloody Sabbath” risuonava dalle casse della banda municipale. Mia moglie aveva le corna, ma vere, da bue. Tony Iommi officiava. Ozzy teneva l’anello. E io, giuro, ero felice. Da quella notte, ogni volta che mi siedo sul cesso, parte nella mia testa “Into the Void”. È come se le viscere e i riff fossero diventati la stessa cosa. Una sinfonia di catarsi e gas. 

Oggi ho 50 anni e tre quarti. La Panda ha ancora il cambio che s’inceppa, ma nel bagagliaio c’è sempre una copia di “Master of Reality”. Nel portafoglio, la foto di Geezer Butler. Sul comodino, “Vol. 4” come antidoto alla tristezza. E quando la vita mi schiaccia, quando il mondo pare andare a puttane, io rimetto su “Hole in the Sky”, apro la finestra, e urlo: — Ozzy… portami via! Perché, diciamocelo: ci sono solo due tipi di persone. Chi ha ascoltato i Black Sabbath… e chi non ha ancora capito niente della vita.

Dedicato a Ozzy e tutti gli amanti della buona musica!

- Una storia di Dario Greco -

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