Romance in Mormanno

ROMANCE IN MORMANNO

(Invocazione)

Chiudo gli occhi, e il Pollino mi chiama con un lamento che sa di resina e pianto antico. È un canto che mi strappa l’anima, che mi riporta a Mormanno, primavera del ’95, quando ero giovane e il cuore un foglio strappato. La mia terra non è solo montagna: è un tempio di muschio e bruma, dove i pini loricati si torcono verso il cielo come preghiere spezzate, e i torrenti sussurrano blues più vecchi del tempo. È la mia Highlands calabrese, avvolta in nebbie che raccontano leggende: la Regina del Pollino, con occhi di stelle, che guida i viandanti perduti; il Lupo Mannaro, che ulula il dolore di chi ha amato troppo. Ora, con le mani tremanti e un walkman che tace, ascolto il ricordo di Veedon Fleece. Fair Play e Cul de Sac di Van Morrison, quei blues celtici del ’74, sono il mio requiem per amici svaniti, per un amore che brucia ancora come brace sotto la cenere, per questa terra dura che mi ha cresciuto e ferito.

 - FLASHFORWARD -

L’incontro e il fatto della melanzana - Prima parte

Sotto un cielo amaranto che sembra dipinto da un poeta in preda a un sogno febbrile, le colline di Mormanno sussurrano promesse d’amore eterno. Elena, una pittrice dagli occhi di smeraldo che catturano la luce del Pollino, arriva in questo borgo incantato per immortalare i tetti rossi e i vicoli che sembrano usciti da un dipinto. Ma il destino, dispettoso come un folletto, la conduce tra le braccia di Lorenzo, un poeta scapigliato che declama versi d’amore alle galline, sicuro che rispondano con un “coccodè” di pura poesia. La loro passione sboccia come un’esplosione di colori: si rincorrono tra le stradine, ridono sotto gli archi di pietra, si baciano al tramonto mentre il profumo di melanzane rosse di Mormanno danza nell’aria come un abbraccio. A portare scompiglio in questo idillio arriva Zio Peppino, o Zio Peppario, come lo chiamano i bambini del paese quando lo vedono danzare con le stelle. È un ometto tondo come una botte di vino, con un pancione che ballonzola a ogni passo e un cappello a cilindro sghembo, decorato con piume di corvo che ha raccolto “perché portano fortuna”. Il suo mantello viola, che sembra vivo, svolazza anche senza vento, e si dice che sia stato tessuto con i fili dei tramonti di Mormanno, un dono della fata Rosaluna, che Zio Peppario sostiene di aver salvato da un temporale cento anni fa. Porta sempre con sé un bastone nodoso con un pomello a forma di melanzana, intagliato a mano durante una notte di luna piena, con cui “dirige” le nuvole come un maestro d’orchestra celeste, urlando: “Suonate, che l’amore deve trionfare!”  Zio Peppario è una leggenda a Mormanno: si racconta che abbia 300 anni e che ogni secolo si reincarni in una nuova versione di sé, sempre più eccentrica. Ha un’ossessione per i rituali surreali: una volta ha provato a sposare due gatti del paese perché “i loro miagolii erano troppo armoniosi per non essere amore”, e in un’altra occasione ha piantato melanzane in un campo sperando che crescessero alberi d’amore. Vive in una casetta ai margini del borgo, piena di amuleti, campanelle che suonano da sole e un gatto nero di nome Amore, che secondo lui gli parla in sogno per dargli consigli sentimentali. Zio Peppino si proclama “custode dell’amore di Mormanno”, un titolo che si è autoassegnato dopo aver sognato una melanzana parlante che glielo ordinava, e ora si sente in dovere di aiutare ogni coppia a trovare la felicità. Con aria da profeta stralunato, consegna a Elena e Lorenzo una melanzana rossa, proclamando: “Cucinatela insieme, senza litigi, o l’amore vi maledirà con cento anni di cuori infranti!” Poi si siede su una sedia che sembra apparire dal nulla, tira fuori un’armonica stonata e inizia a suonare una melodia che ricorda un lamento di sirene ubriache, mentre con il bastone “dirige” un immaginario coro di rane. La cucina diventa un campo di battaglia: Lorenzo brucia l’olio, Elena scambia il sale per zucchero, e Zio Peppario, tra un sorso di vino immaginario e un urlo di “Allegro, ma non troppo!”, lancia melanzane in aria come se fossero palloncini da circo.  

Rituale della fata lunaria (La danza delle stelle) - Seconda parte

Nonostante il disastro culinario, Zio Peppino non si dà per vinto. Con un sorriso sghembo, annuncia che il vero test d’amore deve ancora arrivare: il “Rituale della Fata Lunaria”. Secondo la leggenda di Mormanno, la Fata Lunaria è la protettrice degli amanti, una creatura eterea che appare solo nelle notti di luna piena, avvolta in un velo di luce argentata. Zio Peppario racconta che l’ha incontrata cinquant’anni fa, mentre vagava nei boschi del Pollino in cerca di erbe magiche. La fata, intrappolata in una ragnatela di rovi incantati, gli promise un dono in cambio della sua libertà: un’ampolla di rugiada lunare, che secondo Zio Peppino ha il potere di far sbocciare l’amore eterno. Ma c’è un prezzo: chi la usa deve danzare sotto la luna con il proprio amato, seguendo i passi che la fata stessa insegna in sogno. Zio Peppario, con occhi scintillanti, tira fuori l’ampolla dalla sua casetta, un piccolo flacone di cristallo che brilla come se contenesse frammenti di stelle. “Questa rugiada è benedetta dalla Fata Lunaria!” proclama, mentre il gatto Amore miagola in sottofondo come a confermare. Spiega che Elena e Lorenzo devono versare tre gocce di rugiada su un fiore di campo, raccoglierlo insieme e poi danzare nella piazza del paese sotto la luna piena, seguendo un’antica melodia che Zio Peppino giura di aver imparato da un’altra fata, la Fata Stellina, una creatura minuscola che vive tra le stelle e che una volta gli ha cantato una ninna nanna mentre lui dormiva su una collina. Stellina, racconta Zio Peppario, gli ha anche insegnato a intrecciare ghirlande di fiori selvatici per attirare la buona sorte, e ogni anno lui ne prepara una per il festival di Mormanno, appendendola alla fontana del paese con un rituale che prevede di cantare una canzone in una lingua inventata, che secondo lui è il “dialetto delle fate”.  

La notte della luna piena arriva, e il borgo si trasforma in un palcoscenico magico. Zio Peppino, con il suo mantello viola che ora scintilla come se fosse cosparso di polvere di stelle, guida Elena e Lorenzo alla piazza, dove ha già preparato un cerchio di fiori e candele che bruciano con una fiamma azzurra, un altro “regalo” della Fata Lunaria, dice lui. I due versano la rugiada su un fiore di malva, lo raccolgono tenendosi per mano, e iniziano a danzare mentre Zio Peppario suona la sua armonica stonata, intonando una melodia che sembra un misto tra una tarantella e il canto di un gufo. Gli abitanti di Mormanno, abituati alle follie di Zio Peppino, si uniscono alla festa: alcuni portano tamburelli, altri cantano, e persino le galline di Lorenzo sembrano danzare a modo loro.  A un certo punto, Zio Peppario giura di vedere la Fata Lunaria apparire tra le nuvole, un’ombra luminosa che benedice gli amanti con un sorriso. Elena e Lorenzo, persi nei loro sguardi, continuano a danzare, dimentichi del mondo, mentre il profumo di melanzane rosse si mescola a quello dei fiori selvatici. La loro passione si rafforza sotto lo sguardo sognante di Zio Peppino, che, tra una nota stonata e un urlo di “Vivace, vivace!”, dichiara che la Fata Lunaria ha approvato il loro amore. I due si abbracciano, promettendo di tornare ogni anno a Mormanno, dove il loro cuore ha trovato casa, grazie alla magia delle fate e alla follia di Zio Peppario, il custode dell’amore più surreale che il borgo abbia mai conosciuto. Mentre il dipinto di Anna mi fissa dalla parete, un’eco lontana mi stringe il cuore: il Pollino mi richiama a Mormanno, come un amante che non dimentica. È primavera, trent’anni dopo quel ’95 che mi ha segnato l’anima, e il borgo non è cambiato: i vicoli di pietra brillano sotto un sole fragile, il profumo di melanzane rosse e timo selvatico mi avvolge come un abbraccio. Mi fermo in Piazza Umberto I, dove un tempo ascoltavo Fair Play di Van Morrison, e incontro Elena e Lorenzo, due giovani innamorati che ridono con la spensieratezza che io ho perso. La loro storia, intrisa di passione e caos, mi riporta ai giorni in cui anch’io credevo nei per sempre. Ma a colpirmi è Zio Peppino, un ometto tondo con un cappello a cilindro sghembo e un mantello viola, che “dirige” le nuvole con un bastone a forma di melanzana. Mi guarda con occhi scintillanti e mi dice: “Figlio del Pollino, sei tornato per il rituale!” Mi invita a unirmi a loro, e mentre la musica di un’armonica stonata riempie l’aria, capisco che Mormanno ha ancora magie da offrirmi: forse, tra le sue leggende e i suoi spiriti, troverò la pace per il mio cuore spezzato, o un nuovo canto da scrivere.

Sotto le stelle del Pollino - Terza parte

Trent’anni dopo quel ’95 che mi ha spezzato, il Pollino mi richiama a Mormanno con un lamento antico, un canto di resina e bruma che mi trafigge l’anima. Sono tornato, un figlio del Pollino con le mani tremanti e il cuore un foglio strappato, testimone di un amore che illumina il mio buio. In Piazza Umberto I, sotto un cielo amaranto che sussurra segreti, Elena e Lorenzo danzano al culmine del loro rituale, benedetti dalla Fata Lunaria. Zio Peppino, o Zio Peppario, con il cappello a cilindro sghembo ornato di piume di corvo e il mantello viola che danza senza vento, dirige la scena con il suo bastone a forma di melanzana, gridando alle nuvole: “Suonate, che l’amore eterno si compia!” Donna Filomena, con il suo vestito di piume di pavone, recita in rima tra i suoi specchi rotti: “Specchio, specchio, dimmi il vero, l’amore di questi è sincero?” Messer Coccolino, il gallo con la cresta arcobaleno e il monocolo, canta una serenata stonata: “Amanti, danzate, che il Pollino vi acclama!” La piazza è un sogno di candele azzurre e fiori selvatici, il profumo di melanzane rosse e timo che mi avvolge come un ricordo. Elena e Lorenzo, con gli occhi pieni di stelle, versano l’ultima goccia di rugiada lunare su un fiore di malva e danzano sotto la luna piena, mentre l’armonica di Zio Peppino intona un lamento che si intreccia al Fair Play di Van Morrison, un’eco che mi spezza: “Fair play to you, Killarney’s lakes are so blue.” Io, in disparte, stringo il dipinto di Anna – un pino loricato sotto un cielo di stelle – e sento il peso di Mimmo e Teresa, svaniti come versi mai scritti, e di Anna, il mio amore selkie, che mi ha lasciato con un Cul de Sac che sussurra: “No need to worry, no need to cry.” Il loro amore mi riporta al ragazzo che correva sul Pollino, che sognava sotto il Pino Grande, che amava senza paura, e una lacrima mi scivola sul viso, amara come il Magliocco. Ma poi, la magia del Pollino si fa spazio nel mio dolore. La Regina del Pollino veglia con occhi di stelle, il Lupo Mannaro ulula in lontananza un canto di redenzione, e Zio Peppario, con un sorriso che brilla come rugiada, mi porge una melanzana rossa: “Figlio del Pollino, l’amore fiorisce sempre.” Elena e Lorenzo si abbracciano, e io sento il vento del Pollino – la mia Highlands calabrese di muschio e torrenti – accarezzarmi il cuore, come un perdono. Sotto queste cime che si torcono come preghiere spezzate, capisco che Mimmo, Teresa e Anna non sono persi: vivono nei miei versi, nel profumo di questa terra, nel blues di Van che mi canta dentro. Con il dipinto di Anna tra le mani, sorrido alla luna, e il Pollino mi sussurra una promessa: anche le ferite più profonde possono sbocciare in un nuovo inizio, "sotto un cielo che non ride mai", come direbbe il buon Peppe Voltarelli. 

Perché si intitola “Romance in Mormanno”

Il titolo Romance in Mormanno è un omaggio al brano Romance in Durango di Bob Dylan, dall’album Desire del 1976, che si apre con l’immagine vivida di “hot chili peppers in the blistering sun”, peperoncini rossi piccanti stesi al sole messicano, simbolo di un amore passionale e tormentato in una terra aspra. A Mormanno, le melanzane rosse – protagoniste dei rituali di Zio Peppino e simbolo del borgo – evocano lo stesso calore e intensità: come i peperoncini di Dylan, brillano sotto il sole del Pollino, portando con sé il sapore di una passione che brucia e guarisce. La storia di Elena e Lorenzo, intrecciata alla passione per Anna e all'amicizia profonda con Mimmo e con Teresa, riflette il tema di Dylan: un romance che danza tra sofferenza, follie e redenzione, in un luogo – il Pollino – che, come la Durango messicana, è al tempo stesso rifugio e sfida, un paesaggio dove l’amore si forgia nel fuoco della terra, nell'intensa e brillante luce di un cielo stellato.

-  ROMANCE IN MORMANNO -

Una storia di Dario Greco

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