Divagazioni Morrisoniane - Pt. 2
Non è ancora esistito un individuo vero, capace di vivere, capace di morire. Soltanto ammalati, sciocchi e tragici, lugubri e ridicoli, che a volte hanno persino sperato di arrivare all’ideale per mezzo di un Miracolo. Aldous Huxley era solito dire che il problema fondamentale dell’umanità è la ricerca della grazia. Lo scrittore usa questo termine nel senso in cui pensava fosse utilizzato nel Nuovo Testamento; tuttavia lo spiegava in termini suoi. Egli sosteneva che gli animali si comportano e comunicano con una naturalezza, una semplicità che l’uomo ha perduto. Il comportamento dell’uomo è corrotto dall’inganno, perfino contro sé stesso, nei momenti più delicati, dalla finalità e dall’autocoscienza. Secondo l’opinione di Huxley, l’uomo ha perso la "grazia" che gli animali invece possiedono ancora.
Non mi pare di aver chiesto molto dalla vita. Quanto meno ultimamente. Ho chiesto solo un sorso di cognac e forse la compagnia di un'anima gentile, in una fresca sera di giugno o settembre. Ce ne sono state già un paio. Certo, non di recente. Ultimamente ho cercato di tirare dritto. Di portare la croce, tenendo il più possibile il becco chiuso. Ma non è facile: non è mai facile la tenerezza. Non è mai gratis guardare negli occhi qualcuno che tu possa chiamare semplicemente amico. La vita non è facile e non è nemmeno complicata. Siamo noi che ci sabotiamo il percorso, perché anche quando le storie finiscono per i motivi giusti, si sta lo stesso male.
Scegliamo le scorciatoie, che però ci condurranno naturalmente fuori strada. Avevamo speso tanto per un treno di gomme. Meglio utilizzarle, meglio sfruttare, in qualche modo, in ogni modo. Un po' come quando osservi un granchio o insegni a un bambino a osservare la propria ombra, a come possa crescere, fino a diventare un gigante di illusione, che poi sparisce, come un gatto nero dentro una stanza buia. Ma qui non ci sono stanze e non ci sei più tu. C'è solo lo schermo freddo di un telefono. Afferra il piacere, lenisci il dolore. Non c'è quasi più umanità, né calore, almeno per me, almeno per il momento. Servirà forse a qualcosa invocare un gioco pulito, come ideale o aspettativa di questa età, di quest’epoca di consapevolezza.
Qualcuno ha cantato o scritto canzoni di innocenza e di esperienza. Non certo io, non certo ora. Io ero più impressionato da una sezione ritmica, dalle fughe di un pianoforte a coda, da una chitarra acustica che dipingeva scene rurali di una vita passata. Le ombre si fanno sempre più sottili prima che il giorno ceda il passo alla rassegnazione. In quegli occhi però c'è solo gioia e voglia di rompere ancora il guscio di qualche nocciola raccolta per ricercare la pace e l’armonia perduta.
Vengono da un posto magico, dove fino al tuo arrivo nessuno aveva mai suonato a tutto volume una canzone di Van Morrison. Perché ci sono periodi in cui non c'è bisogno di alcuno stereo per ascoltare un disco. Ci sono curve che conosci a memoria e che sapresti impostare e disegnare senza nemmeno bisogno di guardare la strada. Senti ancora il motore diesel della sua auto che ruggisce e danza in questa notte di malinconica lirica disperazione. Certo, ti avrebbe stupito che un tipo scapestrato come me, uno con le lenzuola stropicciate e le magliette scolorite ascoltasse principalmente jazz o cantautori del passato. Dovevi però capire, già dalla raccolta di libri, che non ero quello giusto per te. Che non sarebbe mai potuta durata.
Mi hai chiesto
come facessi a conoscere tutti quegli aneddoti sulla vita di Edgar Allan Poe,
ma non ebbi il coraggio di dirti tutta la verità, nient'altro che la verità.
Avrei dovuto raccontare meglio chi sono e soprattutto chi ero stato. Di quelle
estati trascorse a osservare mentre gli altri cercavano di divertirsi, mentre
io non facevo altro che leggere Poe, accrescendo il mio livello di
consapevolezza e di sensibilità. Poi come se non bastasse poggiai tutto sopra
una colonna sonora newyorkese da pretenzioso e arruffato hipster. Ma i tempi
non erano ancora maturi e nessuno aveva voglia di ascoltare il mio punto di
vista. Certo, non è cambiato molto durante questo tempo, ma sono cambiato io e
ho capito che tutto fluisce come questo ruscello dove ancora mi ostino a bere e
che mi disseta come solo la verità sa fare. C'è ancora spazio per il
sentimento? C'è ancora posto per la tenerezza?
Non importa più per me. Non ho più voglia di lottare per imporre il mio pensiero su niente e nessuno. Inseguo solo il fallimento perché comprendo che chi cade e si rialza ha realizzato qualcosa che vale la pena dire, il lascito per chi vorrà ascoltare. È una lezione che ho appreso dai tanti compagni di viaggio immaginari.
Come questo gatto che si aggrappa alla zanzariera perché vuole qualcosa da mangiare. E io mi sento proprio come il mio gatto, ho bisogno di attenzioni, ma non c'è nessuno qui adesso. È rimasto un po' di tempo per ridere e per un ultimo ballo, ma non sappiamo quale sarà perché l'orchestrina che abbiamo ingaggiato ci è stata consigliata da una persona annoiata e irascibile. Uno di quei tipi conosciuti per caso, durante una serata senza senso, dove tutti sembrano volti amici, ma nessuno lo è veramente. Eppure il primo pezzo gira bene, anche se non è affatto originale. Ma se dovessi proprio essere sincero, non direi mai che nessun pensiero o frase da me enunciata sia mai stata così significativa.
Il nastro stava girando, sopra di noi e c'era un vento dolce e caldo, che ci cullava, come sopra una piccola barca, in un vasto mare. Non dirò un lago, perché mi ha sempre trasmesso inquietudine, il lago, come concetto. Mi ricordo quando facevo campeggio e non riuscivo a dormire. Perché in tenda c'eri tu e io volevo solo dirti tutto ciò che provavo, ma finivo sempre e solo col parlare di musica, di libri o di qualche stupido film che puntualmente non avevi ancora visto. Mi guardavi e sorridevi, ma non sapevi sorridere di me. Nemmeno io avevo capito che la vita vale la pena di essere vissuta solo se si ha senso dell'umorismo.
C'ho messo tanto a capire cose semplici ed elementari e a disimparare le cose difficili.
Quelle che però ti fanno apprezzare e comprendere il quadro d'insieme. Affermare di essere vivi e di bruciare un altro pezzo d'estate, ancora una martellata su quel tronco e poi come in un battito d'ali o di ciglia, anche questa estate cederà il passo all'autunno. E ascolteremo ancora Veedon Fleece, avvolti da una calda sciarpa, mentre tu preparerai per me una tisana e io invece desidererò solo rileggere un libro di Jack Kerouac, bere un buon bicchiere di cognac e perdermi nei tuoi occhi, nel nostro abbraccio, mortalmente vero, ma anche tristemente passato. Nella ripetizione della nostra vita pare ci sia il vero senso delle cose. Ci spero davvero, ma non so se è davvero giusto, ora.
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