giovedì 28 settembre 2023

Guida all'ascolto di Van Morrison - Veedon Fleece

 

Premessa – Looking for the Veedon Fleece


"Non è mai leggera la tenerezza" usava dire una mia vecchia fiamma. No, lei non era una grande fan di Van Morrison, ma aveva ottimi gusti musicali, ugualmente.

A quel tempo la musica riempiva le nostre vite e non c'era giorno in cui non scoprivamo qualcosa di importante, di grande, degno di essere raccontato e quindi tramandato. Così pensavamo, almeno! Non c'erano ancora i social network e internet non era il centro delle nostre esistenze. Era presente, ma non determinante. Infatti io questo disco l'avevo scoperto grazie a l'Enciclopedia del Rock, edita da Arcana e forse avevo intercettato anche qualche considerazione di Piero Scaruffi. Un disco che per certi versi ricordava lo stile e i temi trattati nel capolavoro del 1968, Astral Weeks. La copertina vedeva Van ben vestito accanto a due magnifici esemplari di levrieri irlandesi, con uno sfondo di una bella villa circondata da alberi e verde. Il tema del disco era il ritorno a casa, presumibilmente.

Dando un'occhiata ai titoli stampati con un bel font sul compact disc che stavo per acquistare da Iguana Shop, mi resi conto che non conoscevo nessuna canzone, ma che già leggendo con scarsa attenzione, mi trasmettevano qualcosa di familiare, di buono e diverso dal solito. Circa un anno e mezzo prima avevo ascoltato uno dei dischi che ancora oggi considero tra i miei preferiti: Blood on the Tracks di Bob Dylan, pubblicato durante il mese di gennaio del 1975. Veedon Fleece invece era stato dato alle stampe qualche mese prima, durante lo stesso anno di un altro disco che amavo: The Heart of Saturday Night, secondo lavoro in studio del giovane californiano Tom Waits.

Avevo da poco scoperto un altro disco: Solid Air di John Martyn e in molti mi dicevano un gran bene anche di un certo Nick Drake, un cantautore inglese, che in seguito scoprii era morto subito dopo la pubblicazione di Veedon Fleece, ma cosa più importante, in tempo per realizzare tre magnifici lp: Five Leaves Left nel 1969, Bryter Layter nel 1970 e l'ultimo, ma non per importanza, Pink Moon nel 1972. Questo è il contesto e il preambolo che mi ha portato tra le braccia, ma soprattutto tra i solchi di Veedon Fleece di Van Morrison, ottavo disco in studio per il cantautore nordirlandese. Fino a quel momento il suo disco più irlandese di sempre.

Veedon Fleece (Capitolo cinque)

Veedon Fleece è l'ottavo album in studio del cantautore nordirlandese Van Morrison, pubblicato il 5 ottobre 1974. Morrison ha registrato l'album poco dopo il divorzio dalla moglie Janet (Planet) Rigsbee. Con il suo matrimonio ormai alle spalle, il cantautore visitò l'Irlanda in vacanza per trovare nuova ispirazione, arrivando il 20 ottobre 1973, assieme alla fidanzata Carol Guida. Mentre era lì scrisse, in meno di tre settimane, le canzoni incluse nell'album, fatta eccezione per "Bulbs", "Country Fair" e "Come Here My Love". I testi, composti attraverso la tecnica del flusso di coscienza, lo rendono accostabile per certi versi ad Astral Weeks, ma in effetti in questa occasione è evidente come l’impianto musicale sia in debito verso atmosfere celtiche, principalmente acustiche e se vogliamo più essenziali, rispetto al lavoro del 1968. Non è un caso se la critica più attenta parlerà di capolavoro dimenticato, realizzato con maggiore consapevolezza e maturità, nel canone del suo autore. Durante i mesi estivi del 1973, Morrison aveva intrapreso un tour di tre mesi con la sua band di undici elementi, la Caledonia Soul Orchestra. Sebbene i concerti e l'album dal vivo, It's Too Late to Stop Now, siano diventati famosi per Morrison, fotografandolo in uno stato di grazia, il tour è stato fisicamente ed emotivamente estenuante. Morrison decide di prendersi una vacanza, tornando in Irlanda dopo un'assenza di sei anni per registrare un programma televisivo nazionale. Dopo aver affrontato la procedura di divorzio, Morrison era ora accompagnato dalla sua nuova fidanzata. La vacanza durò quasi tre settimane durante le quali visitò solo la parte meridionale dell'isola e non si avventurò nella sua nativa Irlanda del Nord per motivi di sicurezza, vista la situazione turbolenta di Belfast.

Nel 1978 Van Morrison ha ricordato di aver registrato le canzoni quattro settimane dopo averle scritte: "Veedon Fleece era un gruppo di canzoni che ho scritto e registrato quattro settimane dopo averle composte. Quando fai un album scrivi alcuni brani; potresti avere quattro canzoni e forse ne scrivi altre due, improvvisamente hai abbastanza canzoni per un album." Secondo il batterista Dahaud Shaar, le tracce sono state stabilite in modo molto informale. Il bassista David Hayes afferma che: "Ogni sera per una settimana è arrivato con due o tre nuovi brani e abbiamo iniziato a suonare con lui, senza troppe indicazioni, in modo semplice e diretto". Jim Rothermel ha ricordato che durante le registrazioni dell'album in California le canzoni erano spesso la prima take e che i membri della band a volte non avevano sentito i brani in precedenza. Gli archi e i legni sono stati arrangiati da Jef Labes in uno studio di New York. La canzone "Come Here My Love" è stata composta durante le incisioni, mentre "Country Fair" proviene direttamente dal periodo di Hard Nose the Highway. "Bulbs" e "Cul de Sac" furono editate a New York con musicisti con cui Morrison non aveva mai lavorato prima: il chitarrista John Tropea, il bassista Joe Macho e il batterista Allen Schwarzberg. L’approccio è molto più rock e pimpante, rispetto al nucleo dei pezzi che caratterizzano l’album. "Veedon Fleece inaugura un periodo di crescente fiducia poetica, con una Musa che pur operando attraverso il flusso di coscienza, è sotto il controllo del paroliere". Le canzoni, registrate nell'album, sono state influenzate dal suo viaggio in Irlanda nel 1973 ed era la sua prima visita da quando aveva lasciato Belfast nel 1967.

Veedon Fleece - Il disco

La traccia di apertura, "Fair Play" prende il titolo da un amico di Van Morrison: Donall Corvin, il quale in una espressione colloquiale era solito ripetere “fair play to you” come complimento ironico. È una ballata in 3/4 dove vengono citati i nomi di Oscar Wilde, Edgar Allan Poe e Henry David Thoreau. Secondo l’autore deriva "da ciò che mi passava per la testa" e segna un ritorno alla scrittura realizzato attraverso la formula del flusso di coscienza, già utilizzato in alcune tracce degli album precedenti. "Linden Arden Stole the Highlights" prosegue con "Who Was That Masked Man" (cantata in falsetto) sostenuta da un impianto fortemente lirico, melodico ed evocativo. La trama riguarda un mitologico espatriato irlandese che vive a San Francisco, il quale una volta messo alle strette, diventa violento e poi si nasconde, "vivendo con una pistola". Un riferimento esplicito alla serie tv, The Lone Ranger. Morrison ha descritto l'antieroe Linden Arden come "l'immagine di un immigrato irlandese che vive a San Francisco – un tipo molto duro. "Streets of Arklow" descrive una giornata perfetta nella "terra verde di Dio" ed è un omaggio alla contea di Wicklow, visitata durante la permanenza irlandese dell’autore proprio nel '73. Nei versi di apertura della canzone: "E mentre camminavamo per le strade di Arklow, oh i colori del giorno caldi, e le nostre teste erano piene di poesia, al mattino che arrivava all'alba" si diceva che "contenessero i semi tematici di l'intero album: natura, poesia, Dio, innocenza ritrovata e amore perduto” secondo il critico John Kennedy. "You Don't Pull No Punches, but You Don't Push the River" è considerata come una delle composizioni più riuscite di Morrison. Ha rivelato che la canzone avesse un debito considerevole con le letture nella terapia della Gestalt. La terapia della Gestalt si occupa soprattutto di osservare e verificare la consapevolezza del processo dei pensieri, sentimenti e azioni di un individuo, prestando maggiore attenzione al “cosa” e al “come”, piuttosto che al “perché” di un'azione o di un comportamento.

Sulla seconda faccia dell'album troviamo "Bulbs" e "Cul de Sac", brani che si concentrano sull'emigrazione in America e sul ritorno a casa. L'album si conclude con tre canzoni d'amore: "Comfort You", "Come Here My Love" e "Country Fair": le ultime due utilizzano uno stile classico di ballata irlandese. Per Clinton Heylin sono tracce che trattano il potere lenitivo dell’amore, parlando di ciò che l’innamorato riesce a fare per la propria amata. Come Here My Love suona come il canto di un uomo che sta imparando ad amare nuovamente. In termini tematici "Country Fair" è un sequel di "And It Stoned Me", con la differenza che mentre And It Stoned Me era posta come apertura, la traccia presente su Veedon Fleece viene utilizzata per chiudere il disco. Elvis Costello ha definito l'album come uno dei suoi preferiti, citando "Linden Arden Stole the Highlights" come il pezzo che rende il lavoro così speciale.

La foto di copertina dell'album mostra Van Morrison seduto nell'erba tra due levrieri irlandesi. Il fotografo, Tom Collins, ha scattato la fotografia originale che collocava Morrison e i cani adiacenti al Sutton Castle Hotel, una villa che si affaccia sulla baia di Dublino, dove Morrison soggiornò per la prima volta quando arrivò in Irlanda in vacanza. Diversi autori hanno commentato l'oggetto misterioso, "Veedon Fleece" come appare nel titolo dell'album, citato nel testo della canzone "You Don't Pull No Punches, but You Don't Push the River". Scott Thomas afferma: "Il Veedon Fleece ideato da Morrison è il simbolo di tutto ciò che si desiderava nelle canzoni precedenti: illuminazione spirituale, saggezza, comunità, visione artistica e amore". Steve Turner conclude: "Il Veedon Fleece sembra l'equivalente irlandese del Santo Graal, una reliquia religiosa che risponderebbe alle sue domande, se potesse rintracciarla durante la sua ricerca, lungo la costa occidentale dell'Irlanda." Per Van Morrison il titolo non ha una spiegazione univoca, potrebbe anche trattarsi di un nome proprio di persona. “Ho un intero immaginario di personaggi nella mia testa che sto cercando di inserire in ciò che scrivo. Veedon Fleece è uno di questi e all'improvviso ho iniziato a cantarlo, sotto forma di flusso di coscienza.”

Conclusione

Veedon Fleece è quel vino pregiato che conservi in cantina per una occasione speciale. Va saputo apprezzare, a piccoli sorsi, con la giusta atmosfera. In alcune circostanze questo LP è capace di generare emozioni di cui a volte ci si dimentica, durante questa frenetica, ma piatta esistenza. Un disco che va ascoltato a volume sostenuto e/o in alternativa in cuffia, per un ascolto più raccolto, intimo. Ha delle qualità che sono tipiche di certo jazz, ma al contempo gode dell'immediatezza più marcatamente folk del cantautorato anni settanta a cui evidentemente appartiene.

Il prossimo appuntamento è con Into the Music, undicesimo album, pubblicato nel 1979.

DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

(2023)

mercoledì 27 settembre 2023

Guida all'ascolto di Van Morrison - Saint Dominic's Preview

 


Saint Dominic's Preview (Capitolo quattro)


Premessa autobiografica sul disco

Estate 2002. In quel periodo per superare una piccola storia d’amore mi rifugiai nella musica. Tanto per cambiare. Ascoltavo di frequente artisti come Bob Dylan, Stevie Wonder, The Band, Bruce Springsteen e Bob Seger. Qualche mese prima però un amico mi aveva masterizzato due cd: Astral Weeks e Moondance e nel mese di maggio avevo acquistato il mio primo disco di Van Morrison, uscito da poco: Down the Road. In quel frangente oltre ad ascoltare vagonate di dischi e musicassette, avevo scoperto due autori come Saul Bellow ed Herny Miller. Al cinema andava forte un certo Peter Jackson ed eravamo tutti spiazzati per via del terrorismo islamico. Ma questa è decisamente un’altra faccenda, che qui non ho tempo di trattare in modo adeguato. Faccio questa premessa perché l’ascoltatore che stava per conoscere e scoprire questo disco era un giovane sognatore un po' acerbo, forse anche un tantino romantico, ma non certo digiuno di libri, cinema e musica pop. 

Era la clamorosa e ridondante estate del 2002 e mi capitò tra le mani, quasi per sbaglio, sicuramente per puro caso, Simple Twist of Fate, direbbe Dylan, il cd di cui voglio parlarvi adesso. Si trattava di Saint Dominic’s Preview, sesto lavoro in studio per il suo autore, Van Morrison. Sapevo poco, pochissimo di lui, tranne il fatto che molto tempo prima si era unito ai The Band per eseguire alcuni brani nel film concerto The Last Waltz, immortalato da Martin Scorsese e visto in tv a tarda notte seguendo la messa in onda di Fuori Orario di Enrico Ghezzi. Soprattutto non sapevo fosse un artista capace di ispirare autori del calibro di Bob Seger, John Mellencamp, Bruce Springsteen e Roger Waters. Se l’ascolto dei primi dischi (Moondance e Astral Weeks) mi aveva aperto a un mondo musicale ricco ed eclettico, fu con Saint Dominic’s Preview che presi consapevolezza di un aspetto per me fondamentale: dovevo scoprire molto di più, volevo procurarmi ogni cosa che questo grande musicista aveva prodotto e cantato. 

Per mia fortuna all’epoca Cosenza era una città musicalmente viva e fertile, c’era un buon numero di negozi e grazie a Iguana e soprattutto a Orfeo, nella persona di Carlo Cucco Marino, recuperai, nel giro di pochi mesi, una dozzina di titoli, tra cui il magnifico doppio live It’s Too Late to Stop Now, Into the Music, Beautiful Vision e Veedon Fleece. Dischi di cui vi parlerò nei prossimi capitoli di questa guida all’ascolto di Van Morrison.

Considerazioni e analisi del disco

Saint Dominic’s Preview, pubblicato durante l’estate 1972, rientra nel novero dei gioielli assoluti di Van Morrison, malgrado all’epoca della realizzazione non saranno in tanti ad accorgersene. Vediamo come la scelta di combinare brani ritmati e brevi come la scattante Jackie Wilson Said (I’m in Heaven When You Smile), Redwood Tree e I Will Be There, con canzoni più liriche e prolisse come Listen to the Lion, Almost Independence Day e la title track, risulterà alla lunga uno dei marchi di fabbrica dell’Irlandese. Così quello che in teoria poteva essere un disco agile e breve, per durata e per contenuti, diventerà quasi il seguito di quel capolavoro che lo anticipò nel 1968.

Registrato a San Francisco al Wally Heider Studio, al Pacific High Studio e ai Columbia Studio, Saint Dominic’s Preview viene prodotto da Van Morrison in collaborazione con Ted Templeman. Tra i musicisti che partecipano alle incisioni citiamo il sassofonista, Jack Schroer, che seguiva in quel periodo Morrison sia in studio che dal vivo, il batterista Gary Mallaber e i tastieristi Mark Jordan e Tom Salisbury. Quest’ultimo sarà responsabile anche degli arrangiamenti di alcuni brani contenuti nell’LP. Salisbury ha collaborato con artisti del calibro di Stevie Wonder, Herbie Hancock, Boz Scaggs, Richard Davis e Jerry Garcia.  Anticipando un capolavoro come Veedon Fleece, Saint Dominic’s Preview esplora alcune sonorità che sono proprie della black music, citando fin dal titolo, artisti come Jackie Wilson e Ray Charles. Van Morrison elegge The Genius tra le sue principali influenze musicali, sia per quel che riguarda la composizione, così come per le esecuzioni vocali e di attitudine sonora. Nel tempo questo lavoro diventerà una delle pietre miliari per l’autore, con brani capaci di entrare nella hit parade e temi che ispireranno altri autori: si pensi a come Springsteen e Bob Seger studieranno questa miscela per farla propria. Senza dimenticare l’omaggio di Richard Price, scrittore che nel suo cult book The Wanderers citerà il disco come fonte di ispirazione. Lo stesso vale anche per il cinema che ha più volte utilizzato il brano di apertura Jackie Wilson Said per creare la giusta atmosfera di jungla metropolitana.   

Per Erik Hage è uno degli album più forti nel canone morrisoniano perché sembra adattare e incorporare tutte le lezioni e le scoperte del ricco periodo di evoluzione che lo ha preceduto, aprendo contemporaneamente a nuovi orizzonti sonori. In definitiva, l'impatto cumulativo è sotto molti punti devastante. Stephen Holden sottolinea come la coesistenza di due stili differenti, sullo stesso disco, risulti rinfrescante. Si completano a vicenda sottolineando la notevole versatilità dell'immaginazione musicale del suo autore. Probabilmente è il disco più ambizioso mai pubblicato da Van Morrison fino a quel momento. I ritmi, che alternano tempi doppi e tripli, sono condotti in modo esemplare, attraverso armonie mediorientali e molteplici trame chitarristiche esotiche. Un lavoro che si basa sulla forza delle canzoni; raccolta intrigante e diversificata, che riunisce i fili disparati del recente lavoro del cantante, in un unico pacchetto.

Le canzoni di Saint Dominic’s Preview

"Listen to the Lion" è una canzone di undici minuti che inizia con un'apertura dolce, prima che Morrison improvvisi in stile Scat, imitando il ruggito di un leone, man mano che il brano progredisce e di sviluppa. A livello tecnico ed emozionale, è una performance vocale che rimane ineguagliata tra i suoi contemporanei. Brian Hinton descrive in questo modo il brano: "Siamo tornati nel territorio di Astral Weeks, uno shuffle guidato dal basso e Van perso nel suo universo poetico. Eppure qui la sua voce corre rischi più selvaggi; ringhia, emettendo un rantolo quasi di morte, alternato a ruggiti selvaggi". La title track, "Saint Dominic's Preview" è stata composta dopo aver visto un annuncio per una veglia di pace che si sarebbe tenuta nella chiesa di St. Dominic a San Francisco. La canzone è scritta nello stile del "flusso di coscienza" come era già avvenuto in maniera più esplicita, con le canzoni di Astral Weeks. I testi della canzone si riferiscono a diverse fasi della vita di Morrison: "il camoscio che pulisce tutte le finestre" (l'adolescenza) e "la casa discografica ha pagato il vino" (il suo status attuale di star della pop music). Erik Hage lo definisce "espansivo e innovativo, sottolineando come la musica di Morrison sia in continua espansione ed evoluzione. "Almost Independence Day" è tanto semplice da un punto di vista musicale, quanto intrigante, grazie al botta e risposta tra le chitarre e il Moog. Come Listen to the Lion che la precede, è un brano che supera i dieci minuti di durata, motivo per cui la critica lo giudicherà, a ragion veduta, musicalmente audace e personale. Erik Hage descrive la canzone come "un pezzo d'atmosfera e un precursore di alcuni suoi lavori anni ottanta (in special modo, Common One), in cui tutta la sua ragion d'essere diventa il tentativo di ispirare stati meditativi nell'ascoltatore". Parlando di questa canzone, Morrison ha detto a Ritchie Yorke: "Non era mia intenzione voler scrivere un sequel di 'Madame George'. Però la canzone mi piace. Tutto è stato registrato dal vivo tranne per la frase del sintetizzatore Moog. Ho chiesto a Bernie Krause di fare questa cosa “stile Chinatown” e poi sono entrato con la parte alta perché stavo pensando a draghi e fuochi d'artificio. È stato un brano tutto svolto attraverso questo flusso di coscienza.”

Conclusione

Ascoltare il leone che risiede nella nostra anima. È possibile unire il dinamismo di Moondance e il lirismo di Astral Weeks? Questa sembra essere la formula vincente, di Saint Dominic’s Preview. 

Il prossimo appuntamento è con Veedon Fleece, ottavo lavoro pubblicato durante l'autunno del 1974.


DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

martedì 26 settembre 2023

Guida all'ascolto di Van Morrison - Pt. 3

Tupelo Honey (Capitolo Tre)  

Tupelo Honey è il quinto album in studio del cantautore nordirlandese Van Morrison. È stato pubblicato nell'ottobre 1971 dalla Warner Bros. Records. Morrison aveva scritto tutte le canzoni dell'album a Woodstock, New York, prima di trasferirsi a Marin County, California, ad eccezione di "You're My Woman", che scrisse durante le registrazioni.

Il disco presenta vari generi musicali, in particolare country, ma anche R&B, soul, folk-rock e soul. I testi sono fortemente intrisi di un’insolita felicità domestica, celebrando l'ambiente rurale della vita familiare di Woodstock con Janet "Planet" Rigsbee.

Tupelo Honey è stato un discreto successo negli States, mentre in Europa così come altrove non ha ottenuto esiti degni di nota. L'album ha prodotto due singoli di successo, la title track e il brano apripista molto r’n’b Wild Night. L'ambiente rurale della contea di Marin ha fornito lo sfondo alla felicità domestica associata all'album, e i testi delle canzoni contenevano riferimenti armoniosi alla "bella vita a casa". In un'intervista rilasciata all'epoca alla rivista New Spotlight, Janet Planet, si riferì all'avversione di Morrison per la socializzazione in quel periodo.

Bob Dylan ha espresso grande approvazione per Tupelo Honey, affermando che sia sempre esistita e Van Morrison è stato il veicolo terreno per farla conoscere al mondo. Greil Marcus ha definito la canzone come una sorta di odissea" che evoca Elvis Presley e che si tratta del pezzo forte di questa produzione discografica. A livello tematico Tupelo Honey prosegue il discorso che il suo autore aveva intrapreso nei precedenti lavori, Moondance e His Band and the Street Choir. In particolare si nota una certa continuità tra i testi di And It Stoned Me e quelli di Tupelo Honey, con la differenza che stavolta il protagonista non guarda al proprio passato di infante, ma è concentrato sul presente e sulla propria vita amorosa e bucolica, vissuta in quel di Woodstock.

Van Morrison affronta la stesura e la realizzazione di questo disco come una vera sfida creativa. Dopo aver esplorato l'anima nordica ottenendo il plauso della critica con i suoi sforzi più recenti, ha pensato di incidere un album country per il suo quinto LP. Sebbene abbia rinunciato a quell'idea dopo essersi trasferito nella West Coast, ha dovuto affrontare una decisione ancora più grande: cosa fare per mettere insieme un nuovo gruppo di musicisti ora che aveva messo migliaia di miglia tra sé e il suo equipaggio normale. Con il sassofonista Jack Schroer e sua moglie Ellen, i soli reduci dalla precedente band, Morrison inizia a assemblare il materiale nuovo, coinvolgendo successivamente un folto gruppo di musicisti già noti per aver collaborato con il cantautore irlandese. Ricordiamo tra gli altri Connie Kay e Gary Mallaber alla batteria. Tra le nuove aggiunte c'era un trio di musicisti della Bay Area che in seguito sarebbe diventato molto familiare in ambito rock: il produttore Ted Templeman (Doobie Brothers), Ronnie Montrose e John McFee il quale si unirà in seguito proprio ai Doobie Bros. Così dopo aver abbandonato l'idea di un album country, il Nostro si affida su materiale già composto, tranne per uno-due pezzi. Tra questi c’è la nuova "You're My Woman". Consolidando la sua reputazione per il comportamento assai volubile, Morrison ha sottoposto Templeman a una prova del fuoco, chiedendo a tutti di tenere il suo passo, provando poco e cercando di ottenere il massimo attraverso le prove improvvisate e selvagge. 

Stranamente il risultato finale è uno dei dischi più pacifici e con un suono molto coeso e brillante. Un modus operandi che anche altri colleghi stavano adottando, uno su tutti Neil Young che nel suo libro “Il sogno di un hippie” racconta di come fu necessario far stancare il proprio batterista durante delle session notturne per ottenere il giusto sound con uno dei suoi primi brani simbolo: Helpless.

Tupelo Honey si è rivelato un successo immediato per Morrison alla sua uscita, nell'ottobre del 1971. L’album include uno dei suoi più grandi singoli di successo, "Wild Night". Per gli ascoltatori desiderosi di ascoltare il lato bucolico della sua personalità musicale, Tupelo Honey offre una raccolta di pezzi capaci di fotografare uno strano idillio campestre, caratterizzato da quella felicità domestica screziata dal sole raffigurata sulla copertina dell'album.

Nonostante gli abbia procurato un buon successo di pubblico, unito al plauso della critica, l’autore non fu timido nell'esprimere la sua distanza emotiva dall'album. Per quanto ostinatamente insistesse nel fare musica a modo suo e seguire il suo percorso creativo a volte imperscrutabile, non era immune da obblighi contrattuali o pressioni commerciali, e in seguito avrebbe riconosciuto che le decisioni che portavano a queste particolari sessioni non combaciavano con il suo pensiero, in termini creativi.

 "Non ero molto contento di Tupelo Honey. Il lavoro era composto da canzoni che erano rimaste fuori dai lavori precedenti e che non eravamo riusciti a usare. Non era così fresco come pensavano; stavo solo cercando di fare un buon disco country & western."

Tuttavia dopo cinquant’anni dalla sua pubblicazione, Tupelo Honey rimane una delle vie d'accesso più popolari al lavoro di Morrison, e se non è necessariamente il primo disco nominato nelle discussioni sui suoi migliori album, di solito fa parte del lotto dei primi dieci-quindici dischi. Per l'artista come sempre lungimirante e ipercritico riguardo la propria opera, rappresenta una deviazione sbagliata che preferirebbe non rivisitare e, come i fan avrebbero presto scoperto, era interessato a esplorare differenti panorami musicali capaci di trascendere dal sound del momento.

Il prossimo appuntamento è con Saint Dominic's Preview, sesto disco in studio di Van Morrison.


 DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

lunedì 25 settembre 2023

Guida all'ascolto di Van Morrison - Pt. 2

 

Moondance (Capitolo Due) 

Così come Astral Weeks era stato scritto e realizzato come un album senza compromessi di sorta, il terzo disco di Van Morrison verrà assemblato in modo speculare, diametralmente opposto. In Astral Weeks (salvo rari casi) i brani superano ampiamente i cinque minuti, sfiorando nel caso di Madame George addirittura dieci minuti.

Moondance parte con un'altra marcia e con un registro decisamente meno impegnativo. And It Stoned Me, è un brano che parla di estasi nell'atto di osservare i miracoli della natura. Una descrizione di ambienti rurali dove il centro tematico è rappresentato da questo ruscello la cui acqua avrà degli effetti benefici sul protagonista. Morrison ha detto di essersi basato su un'esperienza quasi mistica che ha avuto quando dodicenne pescava nel villaggio di Comber a Ballystockart, dove una volta chiese dell'acqua a un vecchio che disse di averla recuperata da un ruscello.

In terza posizione spicca Crazy Love, ode all’amore e al suo nume tutelare, Ray Charles, che in poco più di due minuti e 30, arriva dritta al cuore dell’ascoltatore. Il lato B parte invece con quello che è, fino a questo momento, il brano più breve del canzoniere morrisoniano. Si tratta di Come Running. Perfino Into the Mystic, una delle canzoni più belle della raccolta non supera i tre minuti e 25 secondi, nonostante nell’ascolto è facile perdersi tra le docili acque del Mystic River. Il brano più lungo è Brand New Day, coi suoi cinque minuti, mentre la title track e Caravan (altro pezzo da novanta dell’album) hanno bisogno di oltre quattro minuti e mezzo per prendere quota e spiccare il volo. 

Caravan sarà per lungo tempo uno dei cavalli di battaglia del Morrison live. Ricordiamo almeno due versioni memorabili come quella presente sul doppio live It’s too late to stop now, citata nel libro di Nick Hornby 31 canzoni come canzone ideale per il proprio funerale (Ahahah!) e come la versione immortalata nel film documentario di Martin Scorsese, The Last Waltz, con Van The Man accompagnata nientemeno che da The Band. Storia del rock senza se e senza ma. Si potrebbe citare qualunque film romantico invece, per descrivere l’atmosfera e il pathos di questo brano anomalo, ma fortunato come Moondance. Riportata in auge grazie alla versione un po’ patinata di Michael Bublé (che duetterà in seguito con Van Morrison nel brano Real Real Gone, presente su Duets: Re-working the Catalogue, del 2015), si tratta di un brano in apparenza sofisticato, dove spicca l’originalità dell’arrangiamento e l’utilizzo della strumentazione in stile orchestrale, che farà la fortuna di Van Morrison nel corso degli anni seguenti. 

I critici parlano di stile musicale eclettico e dinamico, ma c’è da dire che nel 1970 non era così frequente realizzare canzoni di questo tipo in ambito pop-rock. Se c’è un elemento originale che sarà fondamentale per la carriera del suo autore, possiamo senza dubbio rintracciarlo qui. Moondance è una ballata romantica, supportata da una sezione ritmica vivace e da una band concentrata, quanto eclettica. La forza del disco è da rintracciarsi invece nel cambio di passo tra un brano e l’altro. Ci sono infatti elementi folk, jazz, r’n’b e cantautoriali, tutti sapientemente miscelati e serviti all’orecchio attento dell’ascoltatore. L’inizio già memorabile per via dei brani And It Stoned Me, Moondance, Crazy Love, Caravan e Into the Mystic, farà dire alla rivista Rolling Stone che siamo davanti al miglior lato A della storia della musica rock. Non è facile valutare se tale affermazione sia corretta o meno, di certo nel corso degli anni sarà proprio la prima facciata del disco a determinare il successo di questo terzo lavoro in studio. 

Da un punto di vista compositivo ci troviamo a qualcosa di molto diverso rispetto al precedente Astral Weeks, mentre ci sarà poi continuità con i successivi dischi, da His Band and the Street Choir in avanti.

Eppure anche a distanza di oltre 50 anni quello swing stile Sinatra e quello stomp da marcia di New Orleans in versione moderna, rende un disco come Moondance ancora vivo, agile, capace di resistere all’usura del tempo. 

Celebrato, amato, ricordato, il disco gode infatti ancora oggi di un’ottima reputazione, sia a livello critico, sia tra il pubblico, ma cosa più importante tra i colleghi e gli addetti ai lavori. Ed era esattamente ciò che Morrison e i suoi musicisti stavano cercando di raggiungere e di ottenere: un album monumentale. 

Il 22 ottobre del 2013, è stata pubblicata la versione deluxe del disco, composta da quattro dischi, con il lavoro originale rimasterizzato e un numero incredibile di outtakes, provini e brani inediti. Sicuramente da recuperare per conoscere nei dettagli il lavoro e il modus operandi di Van Morrison. 

Dovendo consigliare un disco di Van Morrison a chi non l’ha mai ascoltato, probabilmente suggerirei di iniziare da Moondance, a cui si potrebbero aggiungere per completezza Avalon Sunset e The Healing Game. Un album per ogni decennio, un album per ogni periodo per comprendere l’evoluzione di un musicista superbo e senza eguali.

Il prossimo appuntamento è con Tupelo Honey (1971), quinto lavoro in studio per Van Morrison.


DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

domenica 24 settembre 2023

Guida all’ascolto di Van Morrison - Pt. 1


Guida all’ascolto di Van Morrison - Discografia essenziale 

 Introduzione

Sono consapevole del fatto che scrivere una guida all’ascolto di un artista come Van Morrison potrebbe risultare una vera e propria trappola. Nonostante la mole di articoli, libri e saggi pubblicati negli anni, pochi sono stati capaci di condensare il senso della produzione discografica morrisoniane, senza evitare una certa retorica, condita da personale astio e risentimento verso un musicista sfuggente, dal carattere sicuramente non facile, ma dotato di un evidente e solare talento artistico. 

Non è un caso che tra gli appassionati il dibattito, a distanza di anni sia ancora piuttosto acceso circa la capacità del Nostro di continuare a stupire e a regalare, a distanza di oltre 50 anni dal suo esordio, un numero impressionante di dischi e canzoni di alta scuola, dove il mestiere e la naturale capacità di scrittura, si coniugano alla perfezione. In pratica Van Morrison vive nel proprio elemento, la musica, senza badare troppo al farneticante vociare di chi tenta ancora di descriverlo, etichettarlo e analizzarlo, come se fosse un cantautore e un musicista come gli altri. Chi vi scrive lo ritiene unico, di una grandezza e di un valore artistico con pochi sparuti eguali e tanti troppi epigoni, gigante in quella Terra desolata, dove i suoi stessi miti tramontano inesorabilmente.

Ribadisco il concetto: pur con la consapevolezza che scrivere una guida all’ascolto di un artista come Van Morrison potrebbe risultare una tagliola ben affilata e oliata, faccio tesoro della rapidità di Garibaldi, mio amico a quattro zampe, che mi tende agguati e mi esorta alla lotta. Scrivere di musica è un affare per felidi, bisogna essere lesti, dinamici e imprevedibili, affilando le unghie, pronti alla lotta così come al gioco e all'ozio.  

Premessa

Scrivo una breve scheda disco per disco di quelli che ritengo i dischi fondamentali da ascoltare e/o acquistare di questo importante musicista e cantautore nordirlandese. Compilo questa selezione in ordine cronologico, senza tenere conto dell’importanza, del gusto personale e di altre questioni a mio parere secondarie. In questo momento ho selezionato i primi quindici dischi in studio, ma potrei anche ritenere di portare questa operazione a venti unità, prevedendo anche un'analisi su dischi dal vivo, compilation e collaborazioni, che in una produzione sterminata come quella di Van Morrison sono abbastanza frequenti e rilevanti.

Astral Weeks - Capitolo uno

La storia musicale di Van Morrison comincia con la band garage rock THEM, attiva a partire dal 1964. Per chiunque fosse interessato all’ascolto, consiglio di recuperare il cofanetto antologico The Complete Them 1964-1967; qui possiamo ascoltare i primi brani autografi realizzati dal Nostro. Il 1967 segna invece l’esordio della sua carriera solista con il primo album, Blowin’ Your Mind. Nonostante si tratti di una pubblicazione controversa, gestita in modo esuberante da Bert Berns, troviamo qui già tracce di alta scuola e di quello che in seguito Van Morrison sarà capace di proporre al suo pubblico. Una carriera, quella solista, che ha già alle spalle oltre 55 anni.

Il primo vero disco di Van Morrison, inteso come album concepito per essere un long playing e non una raccolta di brani, è dunque Astral Weeks. Si tratta di un disco la cui importanza storica, culturale e musicale, è stata ampiamente documentata nel corso degli anni. Pubblicato per la prima volta il 29 novembre 1968, il disco è diventato nel corso del tempo una pietra miliare della musica popolare, ed erroneamente considerato uno dei capisaldi del rock fine anni Sessanta. Utilizzo il termine “erroneamente” per indicare la chiara volontà del suo autore, del produttore Lewis Merenstein e dell’ensemble di musicisti coinvolti, di chiara impostazione jazz, di realizzare un disco capace di trascendere e di oltrepassare le barriere del genere musicale. Astral Weeks, con le sue composizioni liriche, libere e aperte, come un flusso di coscienza, tipico di certa prosa Beat, rifugge e ricusa ogni legame apparente con la musica vigente in quegli anni. Niente chitarre elettriche in primo piano, un utilizzo originale e personale della voce, degli strumenti di accompagnamento, degli archi e in particolare del basso e del contrabbasso di Richard Davis.

Vale la pena citare tutti i musicisti che prendono parte alle registrazioni, oltre al già citato Davis, la formazione vede coinvolti: John Payne al flauto, Warren Smith Jr. alle percussioni e al vibrafono, Connie Kay alla batteria, Jay Berliner alle chitarre acustiche e classiche.  

Il disco inizialmente riceve tiepidi consensi, specialmente in termini di vendita, ma nel tempo diventerà un vero classico e uno dei dischi più apprezzati, amati e incensati, a ragione, del Nostro. Seminale per autori e dischi che sono entrati di diritto nella storia della musica rock, su tutti mi piace citare Born to Run di Bruce Springsteen, che non a caso ospita proprio Richard Davis nel brano più jazzato e crepuscolare del lotto: Meeting Across the River. Ascoltare la title track in sequenza con Madame George, per credere!

Primo tassello e disco fondamentale per chiunque voglia approcciarsi non solo alla musica di Van Morrison, ma anche a un certo tipo di disco e di stile cosiddetto cantautoriale. Adorato da critici del calibro di Greil Marcus, Paul Williams e Lester Bangs, il quale scriverà un saggio passato alla storia, contenuto nel suo libro Psychotic Reactions and Carburetor Dung.

Brani memorabili contenuti nel disco: Madame George, Sweet Thing, Cyprus Avenue e Ballerina. Nel 2009 Van Morrison pubblica la versione dal vivo, eseguita all’Hollywood Bowl. Tra i musicisti coinvolti si segnala il ritorno di vecchie conoscenze come David Haynes al basso, Terry Adams al violoncello e soprattutto come il chitarrista Jay Berliner, che aveva preso parte alle registrazioni di Astral Weeks nel 1968.  

Il prossimo appuntamento è con Moondance, disco capolavoro pubblicato il 27 gennaio 1970.


DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

sabato 26 agosto 2023

Ascoltare l'autunno con Van Morrison | Nuova versione

ASCOLTARE L'AUTUNNO CON VAN MORRISON - NUOVA VERSIONE 

Premessa

Le estati passavano rapidamente, e spesso non lasciavano tracce. Forse ricordo meglio gli autunni e le altre stagioni. Ascoltare l'autunno con le canzoni di Van Morrison è un percorso sinestetico che ho iniziato a frequentare dall'età di ventidue anni e che tutt'ora prediligo. Si parte con alcuni dischi come Hard Nose The Highway, che quest'anno spegne 50 candeline, per proseguire con altri lavori che affrontano il tema della stagione autunnale, come Back on Top, Down The Road, Keep Me Singing e Three Chords & the Truth, quarantunesimo album in studio. In alcuni casi i riferimenti sono espliciti e si palesano già nei titoli come nel caso di Autumn Song, Golden Autumn Day o Meet me in the Indian Summer. Indian Summer che nella tradizione nordamericana è il corrispettivo della nostra estate di San Martino.

Prima parte

L’autunno è principalmente due cose: contemplazione e conservazione. La contemplazione che ti fa osservare e amare un tramonto in tutti i suoi dettagli di integrità e di perfezione.

L’aria, dopo l’afa e i clamori dell’estate si fa più rarefatta, e in questa atmosfera si purifica. Ernst Jünger dice che in autunno le forme acquistano una plastica maturità, e se la primavera è pittrice, l'autunno è scultore. L’intento di Van Morrison, nella sua contemplativa e dispersiva Autumn Song è di cristallizzare il momento, fare di un’atmosfera un percorso cognitivo prima che narrativo ed emozionale. Il suo misticismo è fatto di piccole cose essenziali, un fuoco caldo, castagne arrostite, una pace infinita e sconfinata. Anche il filosofo danese Kierkegaard era un fervente sostenitore della stagione autunnale, ai suoi occhi la più bella perché è il periodo migliore per osservare il cielo.

In autunno tutto ci ricorda il crepuscolo: consapevolezza e conservazione. E la vita degli uomini pare fatta di cicli, di stagioni. Ogni momento è concepito per essere vissuto e assaporato semplicemente per ciò che rappresenta. L’animo atlantico e contemplativo di Van Morrison è capace di farci viaggiare con l’immaginazione, e conoscendolo come uomo di buone letture egli citerebbe a riguardo Yeats e Wordsworth, Eliot e Joyce.

C'è una sorta di fertile tristezza ch'io non voglio evitare, ma che, anzi, cercherò ardentemente. Essa diviene concretamente gioiosa per me perché impedisce alla mia vita di cadere nel banale. Il tordo lancia le sue note serotine dal folto dei pini. Ammiro la moderazione di questo maestro, il suo canto non ha nulla di tumultuoso. Egli eleva una vena di melodia pura e inimitabile, con tutto il cuore, tutta la vita, tutta l'anima sua, e poi tace per dar modo all'ascoltatore e a sé stesso di goderla appieno, e poi un'altra e un'altra ancora, a intervalli regolari. Guardate gli alberi, spogli o fruscianti di brune foglie secche, tranne i sempreverdi, con i germogli chiusi ai piedi delle foglie. Guardate i campi rossastri e appassiti e vani, erbe e carici coi colmi secchi e scoloriti. Questo è il rapporto che ci lega alla natura in questo momento: siamo queste piante. Anche noi ora non abbiamo più sapore, né verde, né colore.

Tornate a casa nella freschezza della notte, poco dopo arriverà qualche amico. Ora non avete voglia di unirvi alla folla: adesso è tempo di ascoltare la canzone d’autunno.

Ovunque un individuo si separa dalla folla per andare per conto suo c'è un bivio, anche se i viandanti che vanno sulla strada maestra potranno solo scorgere un vuoto nella palizzata. La Natura non fa rumore. L'urlo della tempesta, il fruscio della foglia, il picchiettio della pioggia non disturbano, v'è in essi un'armonia essenziale ed inesplorata, sostiene Thoreau nei suoi diari.

Sulle pagine di Rolling Stone, Stephen Holden scriveva, a proposito di Autumn Song, che i suoi dieci minuti sono la perfetta dimostrazione del dono naturale che Van possiede per la creazione di momenti musicali basati sulla meditazione. Procedendo in accumulo con il potere emozionale, sprigionato attraverso un impressionistico flusso di coscienza. Non solo testuale ma anche musicale. Proprio come Bill Evans, il pianista jazz, la musica è elemento essenziale su cui basare la tavolozza delle sensazioni. È sorprendente come un musicista 28enne dimostri tanta consapevolezza e capacità di astrazione. Ancora una volta, Van Morrison ci riporta alla mente le sue visioni astrali, anche se in chiave semplificata. Conservazione, memoria, stato d’animo.

E la canzone nella brezza invocherà il mio nome e il tuo sogno.

Ho scoperto la musica di Van Morrison durante una burrascosa primavera dell’anima. L’ho meglio scandagliata e sviscerata in una rovente estate bucolica di ricerca introspettiva. Ma il momento in cui davvero ho capito, se così si può dire, la sua musica e il suo stato d’animo, è stato durante l’autunno di 13 anni fa. Veedon Fleece, del ’74 è probabilmente uno dei cinque dischi che ho più amato e consumato negli anni. Ascoltare Van Morrison vuol dire, per me, fare i conti con la temperatura emotiva del proprio cuore. Non ci sono strumenti per valutare in maniera più precisa il suo approccio musicale. Chi conosce bene questo autore, sa che la sua produzione migliore è sempre stata legata ad una certa ricerca mistica, spirituale.

I suoi capolavori si chiamano Astral Weeks, Moondance e Into The Music. Tutto quello che il cantautore irlandese ha realizzato dal suo secondo lavoro (Astral Weeks) in poi, fino alla seconda metà degli anni ottanta, è degno di essere ascoltato e valutato con attenzione.

Bisognerebbe poter chiedere a Lester Bangs, che su Astral Weeks ha scritto probabilmente una delle pagine più importanti dedicata alla musica d’autore. Lungi da me toccare adesso un capolavoro simile. Quelle sono otto canzoni con un carattere così intimo che, a tratti, hai paura di ferirle se le ascolti troppo, come scrive giustamente Carlo Nalli. Un disco fondamentale che ha segnato una generazione e creato uno standard per molti cantautori che sono venuti dopo; assieme al lavoro di Tim Buckley, è probabilmente il contributo più alto e nobile a quello che poi diventò un genere a parte all’interno del songwriting anglofono.

Seconda parte

Castagne al fuoco, lo scoppiettio della legna e la brezza che conduce fino a te questa canzone sull’autunno.

Ascoltare l’autunno è uno stato d’animo, per Verlaine paragonabile a dei lunghi singhiozzi di violino, che feriscono il cuore con un monotono languore. Si tratta di un “moto” per vivere in modo corretto una dei periodi più intensi e necessarie dell’essere umano. In autunno cadono le foglie e con le foglie anche i capelli. When The Leaves Come Falling Down, canterà sempre Van Morrison nel 1999, diverse stagioni dopo Autumn Song. In Back on Top trova spazio un'altra canzone dedicata all'autunno. Si tratta del brano Golden Autumn Day, memorabile chiusura che avviene attraverso una lunga, ispirata meditazione di sei minuti e mezzo.

Sono stati mentali, che il Nostro è sempre riuscito a sintetizzare e a comprendere. Autumn Song è una canzone lieve, a tratti malinconica, a tratti gaudente. Non si tratta di una malinconia compatta e opaca, ma di un velo di particelle minutissime d'umori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto ciò che costituisce l'ultima sostanza della molteplicità delle cose, per citare Italo Calvino. Un inno pastorale, un canto bucolico e sereno di un uomo che aveva trovato la sua dimensione e il suo karma tra gli elementi essenziali della natura. Quasi un’anticipazione di quello che sarà il suo Bringing it all back home l’anno successivo con Veedon Fleece.

Van Morrison è stato uno dei più grandi cantori in musica dell'autunno. E serve coraggio, tanto romanticismo e tanta cocciutaggine per saper cantare davvero l’autunno, quando si è giovani. È un po’ come osservare un tramonto in solitudine, tramortisce e ghermisce, specialmente l’animo inquieto che come il regista inglese John Schlesinger sta scappando via dalla pazza folla.

Ci sono alcune canzoni di Van Morrison che hanno il potere di rigenerare i pensieri, e questo è dovuto anche alla loro struttura melodica e musicale. Autumn Song, ad un ascolto distratto può apparire come un brano banale, fiacco. Eppure quei 10 minuti hanno la forza della leggerezza, che come dice Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane va associata con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.

Nell’agosto del 1973 un 28enne Van Morrison, già maturo e consapevole dava alle stampe Hard Nose the Highway, disco intenso e ispirato, soprattutto nella scrittura, dove spiccano alcuni classici morrisoniani come Warm Love, la title track, Snow In San Anselmo, Wild Children e dove naturalmente è possibile ascoltare la lunga suite di Autumn Song. Hard Nose The Highway è un disco di assoluto valore e qualità sonora, sia a livello di composizione che di realizzazione.

Non si è mai arreso Van Morrison nella sua vita. La musica, il misticismo e una ricerca musicale costante lo accompagnano da più di 50 anni. Artista schivo, a tratti burbero, forse solo poco adatto alle luci della ribalta e dello show business, ha sempre preferito il palco come estensione del proprio Io, coltivando una miriade di interessi differenti.

Il vecchio fisarmonicista suona in modo dolce e brillante, E torni a casa nel fresco della notte. Poco dopo arriveranno gli amici, e se hai voglia di unirti alla folla, potrebbe venirti voglia di cantare la canzone d'autunno.

 DIVAGAZIONI MORRISONIANE - UN'IDEA DI DARIO GRECO

domenica 20 agosto 2023

Ascoltando Hard Nose the Highway


Hard Nose the Highway (1973)

Il mondo è pieno di selvaggia, ruggente bellezza. Tocca a noi coglierla, sentirla, farla temporaneamente nostra. Solo un attimo di splendente illusione e vacuità. La mia splendida ricompensa in dobloni non sarà il tesoro dei pirati, non sarà uno scrigno pieno di preziosi. Soltanto un attimo prima di scomparire, afferrare quel sottile selvaggio suono mercuriale. Sospinti dal divino soffio di immortalità; questo è quello che cerco, questo è il minimo che voglio accettare, adesso, ora! Fino alla fine del tempo e dello spazio, quando sarò trafitto da una lama rovente, dentro uno scudo d'acciaio. Erica viola, che mi guidi nel cammino perpetuo, nello scorrere inesorabile dell'ultima era, di questo triste stanco mondo!

Il 1973 per Van Morrison fu un anno memorabile. Non solo perché veniva da un periodo di grandi successi che era stato inaugurato tre anni prima con la pubblicazione di Moondance, uno dei suoi best seller, ma soprattutto per via dei live che stata affrontando in quel periodo. Il tutto come ben sappiamo venne immortalato nei due dischi live ufficiali pubblicati nel 1974 dal titolo It's Too Late To Stop Now. Qui possiamo ascoltare come Morrison abbia plasmato una band che risponde al nome di Caledonia Soul Orchestra, gruppo composto da una solida sezione fiati, un quartetto d'archi, chitarra elettrica, basso, piano, organo e batteria: dieci elementi per colorare e supportare il suo leader; un Van Morrison assolutamente stratosferico, in uno stato di forma e di grazia senza precedenti.

Dal punto di vista compositivo l'autore era reduce degli album His Band and Street Choir e Tupelo Honey, ottimi lavori e buoni successi commerciali, ma soprattutto aveva pubblicato Saint Dominic's Preview solo un anno prima di Hard Nose the Highway, le cui sessions furono completate tra l'agosto e l'ottobre del 1972. Questo settimo lavoro in studio è un disco diverso, sia in termini di ispirazione, sia dal punto di vista musicale e contenutistico. Si tratta in effetti di un album che si spinge oltre, rispetto a quanto era stato realizzato con gli ultimi quattro dischi. Appare evidente già leggendo i credits, dato che qui troviamo ben due brani non autografi: Bein' Green e la meravigliosa canzone tradizionale Purple Heather. Morrison compone di proprio pugno sei brani, uno diverso dall'altro. Il lavoro inizia col botto dato che l'apertura è affidata all'inusuale Snow In San Anselmo, brano intrigante sorretto dal suggestivo coro a opera della Oakland Symphony Chamber Chorus che si sviluppa su un pattern di batteria quasi swingante. La struttura del pezzo è esemplare quanto efficace. Nelle strofe la band suona in modo minimale ed etereo, mentre nella progressione di accordi crea un effetto stomp sofisticato e straniante. Non a caso è uno dei pezzi meno scontati del catalogo morrisoniano anni settanta. Segue un brano che ha subito conquistato i fan di Van Morrison: la suggestiva ed elegiaca Warm Love. La canzone è sorretta da un arrangiamento fantasioso, brillante ed efficace. La voce di Morrison ci trasporta attraverso questo caldo amore. Chitarre acustiche, flauti, batteria che gioca sulle dinamiche fondamentali. Raramente possiamo sentire un disco così ben prodotto che suona allo stesso tempo con la stessa intensità di un live. L'abilità del Nostro autore di lavorare sugli arrangiamenti è già prodigioso e quando azzecca il riff, la strofa e il chorus giusto, c'è poco da fare e dire. Un altro bel colpo arriva con la title track, posizionata come terza traccia dell'album. Non c'è tempo per farsi lustrare le scarpe quando cerchi di guadagnarti da vivere, afferma il Nostro. C'è solo tempo per produrre grande musica, qui. Wild Children è dedicata alla generazione nata nel secondo dopoguerra che è cresciuta attraverso immagini di antieroi americani come quelli interpretati da James Dean, Marlon Brando, Rod Steiger e il drammaturgo Tennessee Williams. Van Morrison utilizza qui ancora una volta il concetto di Wildness, di cui successivamente si approprierà un altro cantautore talentuoso come il collega statunitense Bruce Springsteen.

The Great Deception secondo il biografo Richie Yorke è "una delle accuse più pungenti da qualsiasi osservatore, per non parlare di un artista rock, della tragica ipocrisia di tanti partecipanti alla sottocultura, in particolare il big-time rock star di questa era. Being Green è la prima composizione non autografa che Van Morrison include in un album Warner Bros. "Era solo un'affermazione che non devi essere sgargiante. Se a qualcuno non piaci solo perché sei una certa cosa, allora forse sta vedendo la cosa sbagliata”, afferma egli stesso.

A proposito di "Autumn Song", memorabile suite di durata importante (oltre dieci minuti!) un critico dirà: "Non posso negare che sia la canzone più funky sugli splendori e gli umori dell'autunno che sia mai passata attraverso le mie orecchie". Senza dimenticare come a livello tematico, diventerà un brano seminale per il Morrison post-settanta. La canzone finale, "Purple Heather" è la tradizionale "Wild Mountain Thyme" scritta da F. McPeake come variante di "The Braes of Balquhidder" di Robert Tannahill, riarrangiata in maniera impeccabile da Van Morrison.

Contribuiscono alla buona riuscita del disco il nucleo di musicisti che è diventato una presenza fissa per gli spettacoli live di Van Morrison. Citiamo almeno Gary Mallaber alla batteria, David Haynes al basso, Jef Labes al piano, John Platania alla chitarra, Jack Schroer al sax, Bill Atwood alla tromba, ma più in generale il tenore degli strumenti presenti in queste sessioni è di livello eccelso.

Il giudizio della critica al disco

L'album ha goduto di ottime recensioni al momento dell'uscita. Per Charlie Gillett "il problema di Hard Nose the Highway è che sebbene la musica sia spesso interessante, non ha una base emotiva convincente. Nonostante la mancanza di ispirazione e di focalizzazione melodica, il disco è attraente da ascoltare. Ma Van Morrison ha fissato standard elevati per sé stesso e Hard Nose the Highway non è all'altezza di loro." Per Stephen Holden "Hard Nose the Highway è psicologicamente complesso, musicalmente irregolare, liricamente eccellente. Profondità liriche più ricche rispetto al solito, maggiormente accessibili rispetto ai suoi predecessori. Il tema principale è la nostalgia, brevemente ma fermamente contrapposta alla disillusione." Secondo Erik Hage, "Hard Nose the Highway sembra aver subito molte critiche inutili - molti commentatori lo considerano il suo album peggiore e meno ispirato - forse perché fa seguito a una sequenza notevole di album: su tutti Saint Dominic's Preview che lo precede e Veedon Fleece che lo seguirà. Tuttavia il disco ascoltato oggi in una prospettiva retrospettiva e storica, appare come un gioiello prezioso e brillante, stupefacente fermo immagine di un’epoca gloriosa e perduta per il pop rock d’autore dell’epoca.


Testo a cura di Dario Greco



- DIVAGAZIONI MORRISONIANE - 
Un'idea di Dario Greco