Celtic Tiger Years - A new day at midnight




Celtic Tiger Years - A New Day at Midnight 



Temporary address: Washington Street West, Cork (Ireland)


Pt 1 - One Bourbon, One Scotch, One Beer

Mi addormentai da Costigans, davanti una pinta di Heineken e una porzione piccola di patate condite con aceto di vino. Erano le 20 PM. Ero stanco di quella vita, anche se devo confessare che iniziava un po’ a piacermi. Avevo trovato una mia dimensione, almeno nel contesto lavorativo: tutto ciò che facevo, cinque giorni la settimana, dalle 7.30 alle 17.15. Il resto del tempo lo impegnavo, come in quel momento, tra pub, locali tipici e negozi di cianfrusaglie. Se c'è una cosa che sento cambiata, adesso, nel corso di questi anni, è la mancanza di posti realmente personali. Io a Cork ne avevo trovato alcuni davvero interessanti. Di fronte al pub di Costigans, c'era questo robivecchi: sia chiaro, mai una volta che vi trovassi qualcosa di decente. Mi piaceva il posto. Ci andavo almeno 1-2 volte a settimana, ogni volta che potevo. Lo gestiva un tipo che era un mix tra Dave Van Ronk e John Martyn. Per John Martyn non intendo il giovane cantautore riccioluto e con quell’aria un po’ da antico filosofo greco, bensì l’aspetto che il cantautore scozzese aveva assunto durante gli ultimi anni di vita. Non ho mai saputo il nome di quel robivecchi. Mi piace pensare si chiamasse Sean, Mhichíl o Angus. Sapevo in compenso il nome del suo gatto. Era un British Shorthair flemmatico e pacioso, che si aggirava con aria regale tra le scartoffie e le cianfrusaglie di quel burbero ma affascinante rigattiere. Mr. Gallagher, era il suo nome, e giuro di averlo visto diventare più grigio, settimana dopo settimana. Lì trascorrevo un po' di tempo in serenità, cercando non so bene cosa, comprando alla fine oggetti, di cui ero già pentivo dell’acquisto appena fatto qualche passo, fuori dalla porta del negozio. Forse la magia del posto rendeva quegli oggetti più affascinanti, sarà stato il British Shorthair, il fastidio per il suo pelo un po’ malconcio, quella confusione che mi inibiva e mi piaceva al contempo, ma faceva parte del mio rituale. Ero alla scoperta di un posto nuovo che esercitava su di me grande fascino. Mistero. La Rebel City aveva da poco accolto uno scapestrato come me, in rotta per un futuro altro, lontano da casa e dagli affetti, che a dirla tutta in quel momento non mi mancavano affatto. Voltato l'angolo mi ritrovavo come d'incanto sulla via di casa, verso il 101 di Miller's Court, giù su Grand Parade. Ora, su Grand Parade c'erano due cose che potevano attirarmi: i locali di street food e il Virgin Store. Io optavo quasi sempre per il Virgin Store, perché dentro avevo trovato cd incredibili.  Mi irretivano, forse sussurrandomi una nenia in gaelico o forse era merito di quel profumo di cose nuove, colorate e belle, che solo i negozi di musica possiedono. Sì, so bene che non tutti subiscono il fascino del feticcio musicale, ma rassegnatevi, io faccio parte di questa categoria. Ormai arrivati a questo punto del percorso, dovreste già averlo capito, da un pezzo. C'erano vecchi classici che mi aspettavano, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Nina Simone e quel vecchio birbante di Willie Nelson. Dischi che conoscevo bene e avevo imparato ad amare negli anni giovani e selvaggi dell'adolescenza. Lungo la strada, per una sorta di pseudo maturità, inevitabilmente mi ero perso qualcosa. Ci sono artisti che ti stanno chiamando, proprio ora, mentre mi stai leggendo, stanno chiamando te, ma anche me. Uno di loro è David Gray.

"Accendi un sogno e lascialo bruciare in te."  (William Shakespeare)

Pt 2 – I nostri miti morti ormai, la scoperta di David Gray

Ricordo il giorno in cui feci la scoperta di David Gray. Fu la copertina di A New Day at Midnight a trasmettermi quella tipica sensazione che ti fa dire che quel determinato disco fa proprio al caso tuo. E’ una chimica, irrazionale. Non c’è bisogno di ascoltare, non c’è bisogno di pensare. Senti già che si tratta di qualcosa di nuovo e attuale, un po’ diverso, ma al contempo in linea con i tuoi ascolti, con quelle visioni del mondo, musicale e non. I fiati con cui si apriva Freedom, la quarta traccia di questo ispirato lavoro, mi convinsero che forse avevo trovato una nuova voce da ascoltare. La colonna sonora di quei giorni e di quel periodo di lavoro a Cork, se proprio dovessi scegliere, è racchiuso in questo disco, in queste atmosfere un po’ sognati e un po’ da abbiocco. Come quando a metà notte mi svegliavo di soprassalto e indossando la nuova felpa acquistata da Dunnes Stores, mi recavano in un emporio notturno per comprare un’aranciata. In realtà furono le luci e i colori di quel Virgin Store, la cordialità delle commesse, che vedendo questo strano buffo tipo, fare espressioni di stupore, manco fosse un bambino in un negozio di caramelle, non trattenevano un sorriso di ragazze di campagna. Una cosa che mi faceva sentire non troppo lontano da casa. L’esatto opposto di quel No Direction home di dylaniana memoria. Del resto con la pop music, passati i 25 anni, è come entrare nel paese dei balocchi. Tutto è lecito, a patto che avvenga durante il tempo libero, perché poi bisogna tornare alla catena di montaggio e lì non si scherza affatto. Imparai le leggi di comunicazione e marketing, imparai che certe volte, quando c’è il Red o Black friday, ti davano pizza e bibite gratis, ma solo per incentivarti a lavorare, per produrre di più. A me non importava. Sapevo che Cork mi avrebbe regalato ancora qualche momento di libertà, lontano dalla collina di Hollyhill. Perché, non a caso, avevo già adocchiato White Ladder, ancora una volta di David Gray. Ero curioso di scoprire se fosse un album migliore o pari ad A New Day At Midnight. Mi piaceva la scrittura, mi piaceva la sua capacità di creare piccole-e-grandi melodie, con quei tipici arrangiamenti ticchettanti, quasi stile Tunnel of love di Bruce Springsteen, quasi familiari, lì sulla consueta Long Way Home. Eppure in quel momento non ero certo ansioso di percorrere. 

Mi stavo tirando di filato un bel flash da film inglese anni ottanta e novanta, tra Stephen Frears e il Ken Loach meno cupo. E c'erano ancora diversi giri da fare, pinte di birra da bere, persone curiose e pittoresche da incontrare e forse conoscere meglio, con cui confrontarsi. C’erano altri italiani come me, e poi francesi, tedeschi, scandinavi: i più matti di tutti. Quelli che sul posto di lavoro stavano in pantofole e babbucce. Ecco quello mi faceva sentire straniero, lontano, decisamente alieno. Per trovare una mia nicchia dovetti gigioneggiare, facendo sfoggio del mio solito stile lirico, da poeta beat, o meglio beota, da due soldi. Non era importante, perché c'erano poi quelle belle ragazze di Cork. Scapigliate, alla mano. Troppo diverse da quelle che avevo lasciato a casa. E dire che ero partito, probabilmente durante uno dei migliori periodi, da quel punto di vista. Oh, uno mica può vivere solo di mare, sole, corsette, pranzi frugali, poesia e musica. O forse sì? Io avevo voglia di vedere altro, di vivermi quella parentesi irlandese, tra allibratori, baristi vicini all'IRA, tipi loschi come quel Rory: autentico ribelle della contea di Cork, che mi portò nello storico fish and chips dove il proprietario teneva esposto il disco d'oro di Boy degli U2. C'erano locali dove la sera si tenevano jam sessions, a cui qualche volta, così per non annoiarmi troppo, partecipai. Lo confesso: avevo questo mito musicale, venendo da un periodo in cui la musica rappresentava tutto o comunque la parte più importante, della mia esperienza artistica e umana. E c'era il fiume Lee, dove si raccontava, tra leggenda, sogno e realtà, come durante le lunghe sere d'inverno qualcuno avesse scorso addirittura una foca. Questo esemplare di pinnipede viveva nel letto del fiume, sulla sponda a fianco alla fabbrica che produceva birra Beamish. Anche se, a dir il vero, una sera di febbraio, prima della tempesta che chiuse l'Aeroporto per 4 giorni e quattro notti, ci vidi solo un uomo ubriaco. Era caduto nel fiume e ora i pompieri lo stavano traendo in salvo. Una sera poi finii in un club strano, dove c'era una particolare musica minimale. L'atmosfera era piuttosto calda, gioviale, forse anche troppo per i miei abituali gusti. Era un locale gay, noto praticamente a tutti, tranne me. Bevvi qualcosa ridendo di me stesso, di quei giorni strani, in una mansarda, davvero molto vicina rispetto al centro di Cork. Cork, città che si era mostrata davvero dolce, ma forse ero io parecchio impavido e spavaldo, così sfrontato da eludere ogni questione di etichetta e comportamento sociale. La mia casa era lontana, nel cuore e soprattutto nella mente, nelle gambe allora agili, di chi ha tanta sete di conoscenza, di vita, quasi come un cacciatore solitario, in cerca di emozioni forti. Del resto avevo preso l'uscio per salire su quell'aereo, con una valigia e poco più. Zero certezze, solo pochi libri, qualche cd non so se è cosa da tutti. Non tocca certo a me dirlo, né tantomeno giudicare, forse non dovrei farlo nemmeno con me stesso. Questo all'epoca non lo sapevo, infarcito com'ero di romanzi di formazione e avventura. Mi sembrava l'unica cosa corretta da fare, tra sogni di musica, poesie studiate ma non capite. Era quella voglia di bruciare, di spaccare perfettamente in due quell'ultima parte di giovinezza, il nodo gordiano prima che tutto divenisse così scontato o sciapo, quando ancora, il dolore e il piacere, erano qualcosa in più che una possibilità. 

C'era da accendere una candela profumata alla vaniglia, mettendo sul lettore cd Real Love di David Gray. Era ciò che facevo, anche se mi ero portato un cospicuo numero di compact, che di tanto in tanto ascoltavo, anche per non spezzare completamente il legame, tra il me che era voluto partire e quello che si era trovato bene nella Rebel City. Per un po', è stata questa la mia vita, fatta di pub, di amicizie occasionali, forse di un amore sprecato, in una notte smeraldo.


"Turbinando nel cerchio che si allarga
Il falcone non può sentire il falconiere
Le cose cadono a pezzi, il centro non può tenere.
Pura anarchia dilaga nel mondo
La marea insanguinata s’innalza e dovunque
La cerimonia dell’innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata.
Certo è imminente una rivelazione
Certo è imminente la seconda venuta
La seconda venuta! Difficile pronunciare queste parole
Un ampio squarcio fuor dallo Spiritus Mundi
Tormenta questa visione."

(William Butler Yeats)


Illustrazione di Elena Artese

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