Bob Dylan e Jack Kerouac: quando il formato canzone vola alto
Bob Dylan e Jack Kerouac: quando il formato canzone vola alto
Quando il giovane cantautore Bob Dylan decide di attaccare la spina alla sua chitarra elettrica, trasformando le sue canzoni in qualcosa di diverso rispetto a quanto visto nei primi lavori giovanili, il primo diretto riferimento è proprio nei confronti dei Beat, di Allen Ginsberg, di William S. Burroughs e naturalmente di Jack Kerouac. Certo, c’è il blues di Chicago e ci sono ancora tanti riferimenti al folk e alla canzone americana tradizionale, ma c’è qualcosa di nuovo in quel lavoro dove l’artista stava letteralmente RIPORTANDO TUTTO A CASA. Il titolo è in effetti programmatico ed esortativo, prima di tutto verso sé stesso. Poi ci sono gli elementi che faranno la fortuna di Dylan e di tutta una nuova scena che sta venendo fuori. C’è però un brano che emerge con vigore e potenza poetica differente. Si tratta di Mr. Tambourine Man. Canzone che è una sorta di inno alla libertà espressiva, poetica, come lo stile di vita degli autori Beat. Qui Dylan mette davvero il cuore e tutto quello che aveva da dire. Il suo stile diventa più personale e univoco. Difficile non rendersi conto che stiamo ascoltando un nuovo modo di concepire la forma canzone. Nella motivazione al Nobel, verrà detto, molto tempo dopo, che ha creato nuove espressioni poetiche all’interno della tradizione della canzone americana. Ed è vero, ma manca forse un termine che rende bene l’idea contenuta in Bringing It All Back Home. Manca la forma. Il canone. Proprio così. Dylan liberandosi dell’ingombrante figura dei suoi miti ed eroi come Woody Guthrie, crea una riforma nella scrittura della canzone americana. Lo fa seguendo l’esempio di Ginsberg e in misura forse maggiore di Jack Kerouac.
Con Kerouac condivide il desiderio di libertà a tutti
i costi, di poter condividere la propria sensibilità tipicamente maschile. Già,
questo è un tema che non viene spesso approfondito. L’essere maschio in una
società tipicamente patriarcale, dove sono imposte alcuni codici di condotta e
di comportamento. Dove guardare a Walt Whitman e al pensiero di Emerson, non
fanno di noi quello che i nostri genitori vorrebbero. Bob Dylan dichiara che
più del successo, più della popolarità e del bisogno di emergere e di
affermarsi, è importante trovare una voce, un posto nel mondo. Lo aveva già
fatto Jack London, nume tutelare di Kerouac, quando senza saperlo si stava
creando un vero e proprio stile di vita altro, alternativo. Negli anni
cinquanta l’America era un posto molto convenzionale e forte per ragioni dovute
alla Seconda guerra mondiale. Jack Kerouac fotografa l’inquietudine di una generazione
di ribelli che covava fuoco e cantava attraverso la forma poetica spontanea che
avrebbe in una certa misura influenzato forse più gli autori di canzoni e di
fumetti, che non gli scrittori e i poeti. Come dice Bruce Springsteen in
Jungleland: “I poeti quaggiù non scrivono un bel niente, si tengono in disparte
e lasciano perdere.”
Kerouac e il
suo esempio sono l’esatto opposto. Perché i tempi stanno cambiando e bisogna
armare d’acciaio i canti del nostro tempo. Anche i poeti imparino a combattere.
In Mr. Tambourine Man Dylan non è del tutto consapevole del fatto di poter plasmare
un nuovo stile. Eppure è proprio quello che stava facendo.
Fammi scomparire tra gli anelli di
fumo della mia mente
giù nelle brumose rovine del tempo,
lontano dalle foglie gelate
dai terrifici alberi infestati dai
fantasmi, su spiagge ventose,
fuori dal corso attorcigliato del
folle dolore
Sì, danzare sotto il cielo adamantino
con una mano che fluttua libera
stagliata contro il mare, con intorno
un cerchio di sabbia,
con i ricordi ed il destino persi
nelle onde
lasciami scordare l'oggi fino a
domani.
La prosa
spontanea di Kerouac è un modo consono per inglobare e sintetizzare le
contraddizioni di una società che non aveva tempo né risorse per guardare al
passato, per riflettere. Parliamo di anni dove l’Europa stava rialzando la
testa e dove l’America viveva una diretta evoluzione, dopo un decennio
complesso e difficile come gli anni Quaranta. Eppure l’America degli anni
Sessanta, tra contraddizioni e perbenismo ostentato, stava salutando un nuovo
stile di vita, un nuovo modo di concepire l’arte e la musica. Veniva dall’Inghilterra,
ma era frutto di una elaborazione di qualcosa che era nato proprio lì. Nei
pressi dell’Highway 61 che di lì a poco sarebbe diventato un altro slancio
poetico e un cavallo di battaglia della canzone dylaniana. E ancora una volta
Dylan avrebbe pensato a Kerouac e ai suoi Angeli di desolazione, per quello che
sarebbe diventato un ulteriore upgrade in termini di scrittura. Mi riferisco a Desolation
Row, questo stravagante, psichedelico trip ispirato a Camino Real, l’opera
teatrale di Tennessee Williams del 1953.
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