Tom Waits - Blue Valentine (1978)

 


Tra gli album pubblicati da Tom Waits nella sua importante carriera, Blue Valentine è il più struggente, il più romantico nella più desolante accezione del termine. Il suo fulcro sono le storie d’amore impossibili, quelle che non sono state e mai saranno. Tutto permeato da una nostalgia quasi autoimposta che appartiene sì all’uomo comune, ma soprattutto a quell’anti-élite di disperati che non possono fare a meno di tormentarsi. Quando uscì non suscitò grande clamore, ma del resto in quell'autunno 1978 erano cambiate molte cose e non solo per la carriera del suo autore. Per fare un esempio parallelo, da costa a costa, le cose non stavano andando meglio nemmeno a Bruce Springsteen, che aveva dato alle stampe uno dei lavori più riusciti: Darkness on the Edge of Town. Ma quello era il 1978 e c'era altro a cui pensare. C'era una nuova scena che stava letteralmente esplodendo, ancora una volta veniva dall'Inghilterra ed era decisa a spazzare via tutto quello che non era al passo, figuriamoci un vecchio rottame come Tom Waits. Waits per molti è considerato ancora oggi un non musicista, una sorta di attore prestato alla musica. Il ché fa abbastanza ridere, per chi lo conosce in modo più approfondito. Stiamo parlando di un autore che nel corso della sua carriera ha ispirato una intera generazione di cantautori. 

Escludendo mostri sacri come Neil Young, Leonard Cohen, David Bowie o Bob Dylan, Waits ha fatto mangiare la polvere a chiunque si sia cimentato con la scrittura di canzoni davvero realistiche e che hanno la pretesa di raccontare uno spaccato di vita. Attraverso questo sesto disco in studio mette in scena un pezzo della sua rara e pregiata umanità. Ci sono prostitute finite dietro le sbarre, vecchi compagni di strada che hanno passato la vita su una sedia a rotelle, ma soprattutto c'è un disperato bisogno di romanticismo. Nessuno è mai stato più credibile di Tom Waits nel raccontare le storie di emarginati, ubriachi e depressi. Tutti conoscono gli aneddoti legati ai suoi esordi, quando un manager astuto seppe vendere il personaggio di Tom Waits, facendo credere fosse un attore che interpretava il ruolo del disadattato. Tom Waits è una cattedrale erette in nome dell'emarginazione e le sue storie hanno il ritmo della strada, della poesia Beat di Kerouac e Ginsberg, ma soprattutto è stato il cantore dell'America più oscura e depravata, quella del popolo della notte, ma non legato all'immaginario odierno di figaggine e del jet-set. Esattamente l'opposto.

La sua voce, talvolta tenera e melodica, talvolta aggressiva, corrosa, diventa lo strumento musicale più importante di ogni arrangiamento e rende l’esperienza d’ascolto un piacere quasi macabro. Che sia tramite una solenne canzone di West Side Story (Somewhere), un corposo pezzo r’n’b – come l’aggressivo stomp di Romeo is Bleeding – o un brano come Kentucky Avenue, uno dei testi più struggenti mai scritti dal cantastorie di Pomona – lo storytelling di Waits mantiene per tutta la durata dell’album un fascino teatrale coerente, ma ricco di sfumature e di stili differenti. Atmosfere rarefatte, ma azzeccatissime per raccontare queste storie di ragazzi di vita ispanici, teppisti senza una possibilità di Redenzione, vinti dalla vita e dalle circostanze. I suoi personaggi sono dei falliti autentici, non antieroi operai che riescono a sollevarsi come quelli raccontati da Bruce Springsteen. Tom Waits attraverso le sue liriche ha raccontato la vita di chi vuole solo bersi un ultimo bourbon prima di arrendersi definitivamente alle prime luci dell'alba, quando il nuovo giorno rifiuterà ancora una volta questi reietti, che sono un po' come un'immagine di sfondo in un film di Martin Scorsese, scritto da Paul Schrader. 

Blue Valentine non ha i requisiti adatti per essere un best seller del pop. Non ha il ritmo, né i suoni giusti e le sue storie sono appunto troppo romantiche per il cinismo dell'epoca, ma Tom Waits resta uno dei più credibili cantori di un Paese che deve fare i conti con sé stesso. E in un'America ferita e abbattuta, c'è bisogno di una nuova leva di autori capaci di emergere con le loro storie e le loro canzoni. Pensiamo ad artisti come Springsteen, come lo stesso Bob Seger e Tom Petty. Blue Valentine, ascoltato oggi ci sembra quello che doveva e voleva essere: una cartolina triste per un San Valentino patetico e depravato. Una critica feroce al consumismo che da qui in poi avrebbe mostrato artigli e denti affilatissimi, facendo dei personaggi di Waits le vittime sacrificali dell'edonismo reaganiano. Eppure dentro la notte questi esseri hanno ancora una possibilità di bersi un altro whisky e di fumarsi un'ultima sigaretta, prima che il baratro se li porti via per sempre. Del resto lo scopo della vera arte non è proprio questo? Dare voce e luce a ciò che non si vede, all'invisibile. Come dice Leonard Cohen “c’è una crepa in ogni cosa ed è così che entra la luce". Tom Waits non crede nella luce, ma crede nelle crepe dei soprabiti dei suoi personaggi. Li vive in prima persona ed è così che è diventato uno dei più credibili e prolifici autori della sua generazione.


 Dario Greco 

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