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Bob Dylan negli anni '60: dalle subculture al Black Power

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Viaggio nel decennio d’oro di Bob Dylan, tra svolta elettrica, controculture, teorie delle subculture, Black Panther Party e movimenti neri. Un’analisi tra racconti e memoria personale che mostra come l’artista sia diventato un simbolo capace di attraversare politica, stili giovanili e trasformazioni sociali. Bob Dylan negli anni Sessanta dalle subculture al Black Power tra rivolte e immaginari politici Gli anni Sessanta non rappresentano soltanto il decennio in cui Bob Dylan rivoluziona il linguaggio della canzone, ma anche una fase cruciale in cui la sua figura diventa un punto di intersezione tra movimenti giovanili, subculture emergenti e tensioni politiche sempre più radicalizzate. Analizzare il ruolo di Dylan in questa costellazione richiede una prospettiva che superi la semplice storia della musica, perché le sue canzoni e il suo personaggio sono diventati segni, stili e codici riconoscibili da comunità molto diverse fra loro: dal folk revival bianco progressista del Greenwich V...

You’ll Never Walk Alone: i cori da stadio nel calcio

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You’ll Never Walk Alone: storia sociologica dei cori da stadio nel calcio Il canto è la forma più immediata attraverso cui una comunità calcistica si racconta, si riconosce e si rinnova. È un gesto antropologico, un rituale collettivo in cui la voce supera il singolo individuo e diventa massa sonora, vibrazione che definisce l’identità di un gruppo. I cori da stadio, spesso descritti come semplice folklore o rumore di fondo, rappresentano invece una lente preziosa con cui osservare dinamiche sociali, stratificazioni culturali e trasformazioni collettive. La curva diventa un laboratorio antropologico a cielo aperto, uno spazio dove si costruiscono appartenenze e si rinegoziano tradizioni. È il luogo dove la musica incontra la sociologia, perché il coro da stadio non è mai solo canto, ma un atto performativo che definisce chi appartiene e chi no. Il fenomeno ultras, con le sue ritualità, i suoi linguaggi e le sue estetiche, incarna questa tensione tra individuo e collettività, mostrando ...

Good As I Been to You, Nebraska e Real Gone: il cuore nudo dell'America

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Into the Great Wide Open: il cuore nudo della canzone americana d'autore Nel cuore inquieto dell’America del dopoguerra, quando le strade sembravano spalancarsi come promesse e le città ribollivano di un’energia nuova e irriducibile, tre artisti emersero come voci imprescindibili di un Paese che cercava ancora di capire se stesso. Bob Dylan, Tom Waits e Bruce Springsteen non appartengono alla Beat Generation per collocazione anagrafica o cronologica, eppure ne sono figli spirituali. Nel loro modo di raccontare il mondo, negli angoli che scelgono di illuminare, nelle ferite che provano a rimarginare cantando, aleggia la stessa fame di libertà che animò Jack Kerouac mentre riempiva di parole i taccuini consumati dei suoi viaggi. È come se ogni chilometro percorso dal protagonista di On the Road avesse a un certo punto deviato verso le loro canzoni e lì si fosse fermato, trovando finalmente una casa. Kerouac, con il suo stile febbrile e viscerale, insegnò che la vita non va soltanto ...

Richard Price e l’epica suburbana di The Wanderers

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Rileggere un grande romanzo americano attraverso lo sguardo cinematografico Quando The Wanderers apparve nel 1974, Richard Price aveva appena vent’anni. Era un ragazzo del Bronx che stava imparando a scrivere, osservando il mondo come si impara un dialetto: frequentandolo ogni giorno. Quel mondo era fatto di strade, palazzi popolari, bande adolescenziali, violenza casuale, rituali di quartiere, famiglia, scuola, e una geografia emotiva che gli adolescenti di Price sapevano leggere con la precisione di cartografi. Il romanzo, oggi considerato un classico minore ma imprescindibile della narrativa americana del secondo Novecento, è molto più di un libro sulle gang giovanili: è un documento sociologico vivente, un pezzo di antropologia popolare, una capsula di memoria incandescente che racconta l’America pre-Beatles, pre-Vietnam, pre-sogno infranto. Come molti testi usciti in quel decennio, il suo respiro letterario è profondamente cinematografico. È impossibile non leggerlo e pensare, ...

Cork, Dublino, New York, Jersey Shore, California ('75)

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  1. Cork, autunno 1975 L’autunno arriva a Cork come un soffio caldo impigliato nella lana dei maglioni, un respiro che sa di torba e mare, e io ci sguazzo dentro come se fosse l’unica stagione che mi somiglia davvero. Le foglie sembrano riflettere la voce di Van Morrison, verde scuro e irlandese come un’eco di qualcosa che non ho vissuto ma che riconosco. Veedon Fleece esce dagli altoparlanti del piccolo negozio di dischi su Winthrop Street, e ogni vibrazione dello strumento di Van mi sfiora come una stoffa preziosa, ruvida sulle braccia, morbida nella memoria. Il disco gira lento, ipnotico, e io mi ci perdo, immaginando di poter dissolvermi nel paesaggio che evoca: colline morbide, cavalli bianchi, un fiume che scorre come una frase non detta. Sono giorni strani, quelli dell’autunno del ’75: il vento porta via l’odore delle piogge recenti, e noi siamo giovani abbastanza da credere che la musica possa salvarci. Forse lo faceva davvero, ma non sapevamo ancora riconoscerlo. Nel n...

California Dreamin' Seventy-Sixth

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California, '76 La nebbia saliva dalla baia come il fumo di una sigaretta dimenticata in un posacenere di Sausalito, anno 1976, quando Van Morrison stava ancora a Tiburon a scrivere canzoni che sembravano lettere mai spedite a Dio, e Neil Young era su a Laurel Canyon con la sua camicia a quadri strappata, a far piangere una Les Paul come se la collina stessa avesse il cuore rotto. Io ero in una stanza sopra un jazz club morto sulla Vine, Hollywood, moquette impregnata di bourbon e di sogni che avevano smesso di camminare da quando Crosby e Stills avevano litigato per l’ultima volta. La radio a transistor era l’unica luce possibile assieme a un antico candelabro che aveva visto certamente giorni migliori, proprio come Chet Baker che provava a cantare con la bocca piena di sangue, di note e di eroina giù a Venice. Scrissi: Ci sei, man? Arrivò subito, come se fosse seduto sul tetto di una casa di legno a Laurel Canyon con Gregory Corso e Ferlinghetti, a rollarsi una canna guardando la...