Flanella Walkman Kerouac
Flanella Walkman Kerouac
"Perdere
la terra che conosci, per una maggiore conoscenza, perdere gli amici che amavi
per un amore più grande, trovare una terra più ricca del mondo, più dolce della
tua casa, su cui sono stati piantati i pilastri di questa terra, là dove tende
la coscienza del mondo, si alza il vento e straripano i fiumi."
(Thomas Wolfe - You
Can't Go Home Again)
Avevo questa camicia di flanella rossa e nera. Cioè non era
proprio mia, diciamo che mi era stata data in prestito. Fino a quando non fossi
cresciuto troppo per dismetterla. Poi sarebbe passata a qualcun altro. Era
rossa e nera, e mi faceva pensare, ma solo per qualche istante, che tutto
sommato crescere, non era poi questa grande tragedia. Nello stesso momento
avevo un walkman Sony a cassette ed era il 1996-1997, che per il posto da cui
venivo io era come dire il Big Bang, per la grande esplosione che c'era stata
del grunge e di tutto ciò che conseguiva. Io ero più uno da libri e film, oggi
forse direte un nerd o un hipster, ma all'epoca questi termini non erano di
moda. Vi sto parlando di un momento in cui, almeno nella città dove andavo a
scuola, c'era promiscuità tra punk, rocker, metallari e via dicendo. Dominavano
le chitarre, dominava la ricerca del suono e dei dischi. Quei maledetti
dischetti, spesso introvabili, o comunque irraggiungibili visto che era già
tanto rimediare qualche soldo per una cassetta vergine, per le sigarette e per
qualche cannetta.
Avevo però la mia camicia Wrangler di flanella. Sì, certo
che me la ricordo, ricordo anche gli odori, e le prime birre o il whisky, ma
anche il gin, bevuto per sembrare spavaldi, per dimostrare che si aveva il pelo
sullo stomaco, visto che in faccia neanche a parlarne. Sì, sono stato uno di
quei fortunati ragazzi che ha completato lo sviluppo dopo i vent'anni. Una
bella fortuna, ma c'è sicuramente di peggio. Come appunto non avere una lira in
tasca e non poter partire per l'Inghilterra, cosa che era molto di moda
all'epoca, durante le vacanze estive. Io le vacanze estive le facevo sulla
costa tirrenica, che detto oggi, di questi tempi, mica è una cosa tanto brutta,
anzi. C'era sempre un bel po' di musica da ascoltare, di ragazze da
corteggiare, o con cui provare a scambiare qualche parola, tra timidezze, cosce
e sudore. Ancora altri libri da leggere, non per fare gli sgobboni, ma perché
alcuni, come me si sentivano inadeguati, sconfitti, senza le armi necessarie
per affrontare il mondo.
Stupidamente pensavo che leggendo libri economici, mi sarei
salvato la vita. In realtà mi piaceva già scrivere, immaginare storie e vite
diverse dal mio quotidiano, per sfuggire da una realtà deprimente e ripetitiva.
Oggi capisco bene che le armi che con fatica mi stavo costruendo, erano la
consapevolezza, la sincerità e la capacità di comunicare con il prossimo. Tutte
cose che all'epoca si davano per scontate, perché le persone, almeno quelle
simpatiche e disponibili, ascoltavano, chiedevano, dialogavano tra loro. Certo,
volto la carta e mi dichiaro apertamente, oggi quelli come me vengono etichettati
come boomer. Ai miei tempi se una persona più matura ci degnava di uno sguardo,
di una battuta, era una giornata da segnare nell'almanacco d'oro delle cose
belle. Mi ricordo bene quando un tipo più grande, di 6-7 anni scambiava quattro
chiacchiere, ma proprio delle cazzate, sulla musica, sul cinema o su una
ragazza. C'era proprio l'usanza, una volta saliti su un treno, di intavolare conversazioni
con chi ti stava a fianco, e spesso ci prendevi anche gusto. Perché non sapevi
nulla di quello che stava succedendo a Bologna, a Francoforte o a Parigi. C'era
solo il nostro piccolo mondo quotidiano, che di tanto in tanto veniva spezzato,
da una gita, dalla visita di un parente, o appunto dalle vacanze estive. Ma io
quando faceva freddo avevo una camicia di flanella rossa e nera, e avevo un
walkman Sony, che andava una vera forza, e le cassette le mandavi indietro con
una penna Bic, che poi, è vero, sembrava tutto molto lento, ma il sabato sera,
con una bottiglia di vino o se eri fortunato con i soldi per comprare due
cocktail, potevi veramente staccare la spina. Io mi ricordo di aver ascoltato
forse per un mese intero “The River” di Bruce Springsteen. Non ci capivo
assolutamente niente, a momenti non sapevo nemmeno distinguere gli strumenti
tra di loro, tranne forse le chitarre, il piano e la batteria. C'era però
qualcosa di speciale, di autentico in quella musica. Un po' come quando
scambiavamo quattro chiacchiere con persone delle altre sezioni che non
conoscevi e potevi scoprire di avere gusti in comune, e le ragazze, oggi forse
diremo che erano un po' naif, ma avevano un non so ché di autentico, come quei
colori sbagliati, come i ciuffi punk e le Dr. Martens, che in effetti non
erano il top per un feticista del piede, ma erano anche gli anni novanta, che
ne sapevamo noi di queste cose? O meglio, cosa ne potevo sapere io che leggevo
Thomas Mann, Joyce e Proust, senza nemmeno essere gay, anzi senza essere
frocio, come si diceva all'epoca. Poi venne l'estate e conobbi Annalisa, più
grande di me, più sveglia di me. Mi iniziò a Kerouac e ad altre cose, che forse
non è il caso di raccontare in questa sede. Perché mica sto cercando di
compiacere nessuno, anzi. Sto proprio prendendo a sportellate il potenziale
lettore, con queste divagazioni e imprecisioni. Però chi c'era si ricorderà
senza dubbio che negli anni novanta c'erano poche cose precise, a cominciare
dai tagli dei capelli, dai vestiti e dalle scelte degli alcolici con cui
passare un sabato sera diverso. Il mio rito di iniziazione però, per diventare
adulto, non fu certo legato alla prima sbronza con gli amici, visto che già a
12 anni avevo bevuto vino e vermouth con un vicino di casa, per dimostrare chi
era più uomo. Non furono nemmeno le prime lezioni di petting o di baci con
lingua che Annalisa mi insegnò, più per pietà che per un reale interesse, fu
invece la lettura di un romanzo, forse oggi diremmo imperfetto per le regole
dello storytelling, come “La città e la metropoli” di Jack Kerouac. Lo lessi
durante una calda e oziosa estate, qui in paese, quando la vita scorreva lenta
come un fiume, e quando la perfetta mimesi tra questa nostra provincia e il
Massachusetts degli anni cinquanta sembrava davvero possibile. Del resto loro
avevano i jeans Stonewashed e noi avevamo anche gli stessi jeans, stessa cosa
loro avevano i jukebox, noi avevamo il nostro jukebox, nella sala giochi di
Marcello. E solo chi era presente sa di che cosa sto parlando, dove come e
perché. Io quell'estate ho capito che c'erano storie che non potevano
funzionare al cinema, forse, ma che avevano valore nella vita di un ragazzo
disadattato di provincia, che era molto più bravo a leggere e a comprendere la
narrativa americana del novecento, che a bere, fumare, fare a botte o baciare
le ragazze. Almeno lì avevo il pieno controllo, e la capacità di entrare nel vivo
e nel flusso del discorso. Solo diversi anni dopo scoprii che questa tecnica di
scrittura, inaugurata da Thomas Wolfe, sarebbe stata anche la mia cifra
stilistica e mi avrebbe permesso di sbarcare il lunario, nel settore del web
marketing. Ma qui la cosa diventa troppo attuale, e a chi potrebbe interessare
sentire il mio punto di vista sulla beat generation. Chi li legge più questi
libri? A chi interessa e soprattutto, a cosa serve?
Avevo questa camicia di flanella, rossa e nera. Cioè non era
proprio mia, diciamo che mi era stata data in prestito. Fino a quando non fossi
cresciuto troppo per dismetterla. Poi sarebbe passata a qualcun altro. Ma avevo
anche una copia economica di “La città e la metropoli” di Kerouac e un walkman
Sony, che andava una favola, con 3-4 cassette che ancora si sentivano bene,
anche se poi di musica, mica ci capivo niente, come di alcool, ragazze e di
tutto il resto, in effetti. Erano i miei 15-16 anni ed è stato bello averli in
quel momento, credo. Anche se così non fosse, a chi interessa? E a che cosa
serve ripensarci oggi?
Sapete, credo davvero che "dolersi" per se
stessi sia una delle cose più sincere che esistano sulla terra, perché non si
può negare che uno come me, sano, sexy, anche poetico, criticato, commosso,
lacerato dal desiderio e dall'amore verso ogni bella ragazza che vedo, ma
incapace di fare l'amore adesso, a causa "del tempo e dei soldi",
adesso che sono giovane e le ragazze sfilano indifferenti davanti alla mia
finestra... ebbene, dannazione, non si può proprio negare che sia ingiusto! C'è
troppa solitudine in questo mondo di struggimenti.
(Jack Kerouac, "Un
mondo battuto dal vento")
Illustrazione di Elena Artese
La ricordo perfettamente quella camicia, la portava mio figlio. Hai saputo descriverne il senso, l'importanza dell'interagire attraverso la comunicazione, la condivisione, anche per mezzo di alcune "sbandate" per diventare grande e capire da che parte stare. La lettura ti ha maturato, più di ogni altra emozione, ha reso il tuo ego consapevole e preparato culturalmente, prima. Un messaggio attuale, volendo. Certe ricerche profonde ormai sono superate, ma la camicia di flanella sta di nuovo riprendendo i suoi meritati consensi. Sia di esempio il tuo scrivere in modo così intimo e coinvolgente. Grazie.
RispondiEliminaGrazie infinitamente per il commento, cara Luisa! <3
RispondiEliminaBellissima...
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